domenica 30 ottobre 2011

Diliberto al Pd: patto su 3 punti!

Unità del centro sinistra, della sinistra e dei comunisti: questo lo schema proposto dal segretario nazionale del Pdci, Oliviero Diliberto, nel suo intervento conclusivo al VI congresso nazionale del partito a Rimini. Diliberto ha ripercorso i temi affrontati venerdì scorso nella relazione introduttiva di fronte ai delegati nazionali. Primo il rapporto con il Pd e la necessità di «un'alleanza democratica delle forze progressiste» per «scacciare i mercanti dal tempio» ovvero per sconfiggere Berlusconi vista l'attuale «crisi del sistema democratico».

Per questo, al partito di Bersani, il segretario del Pdci, offre «un patto di legislatura» basato sulla condivisione di tre punti chiari (lavoro, scuola pubblica e fisco). «In cambio - ha detto - vi consentiremo di governare per cinque anni senza rotture di scatole». 

Secondo, il rapporto con la sinistra e la necessità di uscire dal «nanismo» e di diventare una forza in grado, anche numericamente, di rappresentare le istanze dei lavoratori e dei movimenti. Ecco, dunque, la mano tesa verso Sinistra cologia e libertà per la creazione di un unico soggetto su base federativa. «A Vendola - ha detto Diliberto - chiedo un pò di lungimiranza politica». Terzo, l'auspicio di una riunificazione dei comunisti dentro ad un unico partito. Da questo punto di vista le risposte di Rifondazione Comunista sono «ancora insoddisfacenti».

«La Federazione della sinistra - ha spiegato Diliberto - è un punto di partenza non di arrivo. A me sembra che sia una versione edulcorata e un pò annacquata dell'unione dei comunisti che noi proponiamo. Il segretario del Pdci ha concluso il suo intervento con la lettura di un passo della biografia scritta da Nello Rosselli («martire della Resistenza») dedicata a Carlo Pisacane, eroe del Risorgimento italiano. 

Al termine del discorso i pugni alzati dei delegati riuniti al palacongressi di Rimini hanno accompagnato le note delle canzoni «Bandiera Rossa» e «Bella Ciao».

venerdì 28 ottobre 2011

PdCI, Diliberto: 2008 fu errore catastrofico, ora accordo con Pd

"Noi vogliamo un accordo con il Pd, così come lo vogliamo con tutto il centrosinistra". Lo ha proposto il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, nella sua relazione iniziale al sesto congresso nazionale avviato a Rimini. Questa intesa - in particolare su scuola, lavoro e fisco - deve puntare a trovare un accordo per tornare a governare il paese, perché già nel 2008, quando si fece cadere il Governo Prodi, fu "un errore catastrofico".
"Ritengo che non si debba rifare il catastrofico errore del 2008 quando andando divisi - ha spiegato Diliberto -. Io con molta modestia fui l'unico a dire che non dovevamo dividerci, ma Veltroni e Bertinotti insieme decisero la separazione consensuale" in particolare "Veltroni ha regalato la maggioranza a Berlusconi e Bertinotti ha regalato alla sinistra il 3,1% e siamo rimasti fuori dal Parlamento". Quindi "andammo divisi e perdemmo rovinosamente". Complimenti per il bell'esito! Non rifacciamo gli stessi errori del passato".
Un accordo con il Partito democratico, secondo il segretario del Pdci, non è possibile su tutti i punti, per esempio la proposta di un intervento dell'Italia nella guerra in Libia "sarebbe una cosa assolutamente invotabile". Però "proponiamo di negoziare quanto prima possibile con il centrosinistra alla luce del sole non nelle segrete stanze alcuni punti chiari, senza possibili fraintendimenti futuri; fattibili; che siano comprensibili ai cittadini italiani". In particolare, ha spiegato, su "lavoro e ruolo del pubblico nell'economia", su "scuola pubblica e intera filiera dei saperi" e "fisco". "Noi - ha aggiunto - abbiamo programma dettagliato a disposizione del centrosinistra per la lotta all'evasione fiscale".
"Noi - ha concluso Diliberto - vogliamo partecipare alle primarie del centrosinistra perché rappresentano già un pezzo della campagna elettorale di dopo, danno visibilità e delimitano i confini della coalizione e noi saremmo scellerati a non partecipare. I nostri militanti vogliono partecipare, non ci sottraiamo a un dovere democratico".

DILIBERTO: La sfida è quella di essere un ponte tra le vecchie e le nuove generazioni.

Il legame tra lavoratori vecchi e giovani sarà al centro dell’attenzione del Partito dei Comunisti Italiani, unendo coloro che hanno vissuto la grande storia del PCI alla nuove generazioni, afflitte dal precariato e desiderose di colmare le disuguaglianze sociali.  
Il Partito dei Comunisti Italiani ha superato anni difficili, sono passati  3 anni dall’ultimo Congresso a seguito del disastro elettorale, e oggi conta oltre 20.000 iscritti di cui il 30% sono giovani sotto i 30 anni.
Ha un peso modesto ma non insignificante e intende essere una forza politica che rappresenti il popolo italiano, che ha alzato la testa e ha manifestato il suo dissenso contro i danni del capitalismo e dell’attuale governo.
Il congresso nazionale vuole essere l’occasione per ragionare sul futuro. La situazione è disastrosa ma ci sono dei segnali che danno speranza, in primo luogo i giovani ma anche i movimenti delle donne e dei lavoratori.
Manca in Italia un partito che dia rappresentanza e voce ai movimenti, variegati, ma che hanno bisogno di un progetto comune.
Il Partito dei Comunisti Italiani vuole essere fare sintesi di questi movimenti, vuole riconquistare la fiducia dei lavoratori e tornare a rappresentarli, facendoci percepire come interlocutore  affidabile  e influente:
Il PDCI si pone come obiettivi primari quelli di:
1) contribuire alla sconfitta delle destre in Italia,
2) difendere la costituzione, la democrazia e la divisione dei poteri
3) uguaglianza davanti alla legge
4) cancellare la dilagante corruzione
Il PDCI è consapevole che non ci sono le condizioni per un accordo organico su tutti i punti con il Centro-Sinistra; la via che propone è più seria e praticabile: negoziare quanto prima possibile, con il Centro-Sinistra, alla luce del sole, alcuni temi programmatici che siano chiari, fattibili, comprensibili a tutti i cittadini italiani.
In modo particolare sono 3 le questioni principali su cui puntare:
a) il lavoro e il ruolo del pubblico nell’economia e nei  servizi sociali pubblici,
b) la scuola pubblica e l’intera filiera dei saperi, il rilancio dell’istruzione, i massicci investimenti sulle strutture e sulle docenze
c) il fisco, la lotta all’evasione fiscale, che sta diventando un problema democratico non solo economico, servono misure vere, imposta patrimoniale progressiva.
Il PDCI punta ad una reciproca affidabilità con il centro-sinistra e propone una riunificazione dei partiti di Sinistra in modo particolare con il Partito di Rifondazione Comunista, ma anche trovando punti di congiunzione forti con SEL.
Il PDCI è a disposizione per ricostruire un unico Partito Comunista in Italia. La Federazione della Sinistra funzionerebbe assai meglio con la presenza di un unico partito comunista. Il PDCI è superabile in avanti se altri avranno il coraggio di fare altrettanto.
Il 6° Congresso Nazionale ha il compito di dare nuovo slancio al partito e propone un serio e profondo rinnovamento del gruppo dirigente del partito, a favore dei giovani comunisti che sono cresciuti con il partito, e attento ad interpretare al meglio le nuove necessità dei lavoratori.

Segui in diretta il VI Congresso nazionale del PdCI - Rimini 28/29/30 Ottobre 2011


Clicca sul link in basso per seguire la diretta

giovedì 27 ottobre 2011

L'intervista de "Il Fatto quotidiano" a Oliviero Diliberto, segretario nazionale del Partito dei Comunisti Italiani - FdS

Diliberto: “Dateci i seggi e voteremo sempre la fiducia”

Congresso del Pdci (nato nel 1998) a Rimini. Il segretario chiede l'apparentamento al centrosinistra e dice: "Alle primarie tra Bersani e Vendola, voterei il secondo. Abbiamo 21mila iscritti, chi è comunista oggi è veramente un santo"

Chiedo a Oliviero Diliberto come si senta a essere il segretario dell’ultimo partito comunista, l’ultimo che porta nel suo simbolo quel che resta delle bandiere del Pci. La battuta sul vetero non me la passa. Sfodera il suo sorriso western (genere su cui ha esercitato la sua penna di saggista) e mi risponde con una battutaccia: “Veramente io sono il primo segretario bionico …”. È successo questo: dopo una brutta caduta, per salvare il ginocchio, Diliberto ha dovuto impiantarsi una protesi al titanio. Ma la battuta la fa perché, nel giorno in cui sbarca a Rimini per il congresso del suo Pdci (nato nel 1998, oggi federato con Rifondazione) scopre che i dati dell’organizzazione parlano di un partito tutt’altro che polveroso: “Dopo tre anni terribili, abbiamo quasi ventunomila iscritti che rinnovano la tessera del partito. Il 30 % sono giovani sotto i trent’anni”. Così si comincia da come si fa politica in cattività dopo due mancati quorum elettorali.

È cambiato il vostro modo di fare politica, nel tempo della quaresima? (Ride) Se è cambiato? Abbiamo campato un anno con 500 mila euro, un terzo di quello che il Pd spende per una campagna di affissione. E questo congresso? Lo facciamo a Rimini, fuori stagione per risparmiare. Ci costa ventimila euro. Tutti i delegati si pagano il viaggio da sé, compreso il sottoscritto. Avete ancora dei funzionari? Ne avevamo otto. Sono tutti in cassa integrazione.Avevate un giornale di partito, Rinascita. L’ho chiuso subito dopo le elezioni. Chi sono questi giovani iscritti al Pdci? Dei santi. Per diventare comunisti a vent’anni, oggi, bisogna essere degli incrollabili ottimisti.

Il segretario Diliberto, oggi, vive facendo il professore di Diritto romano a Cagliari. Mi riempie di gioia. Ho continuato a farlo anche mentre ero deputato e ministro, per passione. Quando Feltri le scrisse che prendeva due stipendi? Già. Peccato che insegnassi gratis! Devo dargli atto, però, che con grande eleganza, mi chiese scusa con un editoriale in prima. Il documento per Rimini è stato approvato con il 99 %, le pare un buon segno? Non faccia lo spiritoso: non è ‘ il mio ’ documento, infatti, ma quello di un gruppo dirigente. Gli ultimi sondaggi cosa dicono? Un dato stupefacente. La federazione è indicata al 2. 7 %. Questo vuol dire che, se si vota con questa legge elettorale, potreste riportare una pattuglia di deputati in Parlamento… Lei lo sa meglio di me. Se il centrosinistra concedesse il suo apparentamento, con questi numeri, tutta la federazione otterrebbe 21 seggi. Grazie al premio di maggioranza che viene diviso anche con il primo partito che non raggiunge il 4 %.

Possono esserci altri accordi, ad esempio a essere ospitato nelle liste del Pd come i radicali per un diritto di tribuna? Ecco, siccome il Corriere della Sera lo ha scritto colgo l’occasione per dire che su questo querelo. Non considererei dignitoso candidarmi sotto nessun simbolo che non sia il nostro. Però lei sa che l’apparentamento a cui lei aspira pone un problema politico. Rifondazione e Pdci possono diventare determinanti per la fiducia, e si rischia un nuovo caso Turigliatto. Ecco, su questo vorrei essere chiaro. Noi in questo congresso riaffermeremo l’obbligo morale di cacciare Berlusconi, battendolo alle elezioni. Anche se questo significasse votare la fiducia al governo? Vede, il 101 % del nostro popolo è d’accordo su questo.

Non è così anche per tutti i vostri alleati di Rifondazione. So che ci sono delle difficoltà in più, nel partito di Ferrero, ma non vedo alternative. Chi si candida deve impegnarsi a sostenere tre punti di programma e a sostenere il governo per cinque anni senza se e senza ma. Mettiamo che si arrivi a quei 21 eletti. Il 40 % sarebbero vostri, il 60 % del resto della federazione, e tutti dovrebbero votare sì a un eventuale governo? Non vedo proprio come potrebbe essere altrimenti. Abbiamo fatto tesoro del passato. Ha letto che secondo Bertinotti, la sinistra non deve far parte di nessuna alleanza di governo? Con tutto il rispetto per Bertinotti, diciamolo oxfordianamente, mi sembra una cazzata sesquipedale. Il partito comunista che state costruendo non è antagonista, come dicono quelli di Rifondazione? I partiti comunisti che conosco io operano nella realtà. Quindi, se ci si allea con il centrosinistra, si vota la fiducia. Punto. Lo dirà così chiaramente? Al congresso lancerò una proposta molto chiara: si lavora per un solo partito comunista, perché averne due è una follia, si lavora per una sinistra unita, perché con Vendola sono tante le cose che ci uniscono, si lavora per una coalizione di centrosinistra, perché questo è l’unico modo per battere Berlusconi. Le pare chiaro?

Come, come? Se ci fossero le primarie lei voterebbe per Vendola? Ma se è la bestia nera di Ferrero! Io personalmente, fra lui e Bersani non avrei dubbi. La Federazione non lo so, non ne abbiamo parlato. Ma penso che l’obiettivo dovrebbe essere federarci con Sel per costruire una sinistra a due cifre. Mi dice tre cose per cui un elettore di sinistra dovrebbe votare voi e non il Pd? Perché stiamo con gli operai, e non con Marchionne. Perché difendiamo la scuola pubblica, e non quella privata come gli ex del Ppi. Perché siamo contro la guerra. Le pare poco?

da Il Fatto Quotidiano del 27 ottobre 2011



mercoledì 26 ottobre 2011

FOSCO GIANNINI INTERVISTA DILIBERTO

LE SFIDE DEL SESTO CONGRESSO DEL PDCI
"La riapertura di un orizzonte socialista passa anche - in modo determinante - attraverso la rimessa in campo del soggetto politico e sociale che più di ogni altro vuole riaprire tale orizzonte: il partito comunista, un partito con legami e linea di massa"


Fosco Giannini - Siamo di fronte ad una delle crisi più profonde della storia del capitalismo. Rispetto ad altre crisi rilevanti non si colgono, in questa fase, i segni di una risposta, in grado di riaprire i mercati interni e rilanciare offerta e domanda. Aumentano piuttosto, e su scala planetaria, i processi di spoliazione dei popoli, mentre prende sempre più consistenza il pericolo di una guerra su vasta scala (o la moltiplicazione di guerre “territoriali”) come uniche e storicamente non nuove risposte alla crisi di sistema. L’Italia non sfugge certo a tale tendenza di fase: l’attacco contro il lavoro, contro lo stato sociale, contro la democrazia, la stessa pulsione alla guerra e al riarmo segnano profondamente le politiche del governo Berlusconi, ampliando sempre più il disagio e la stessa “inquietudine” sociale. Siamo, cioè, di fronte a un livello così alto della crisi, che la risposta tattica e di fase – benché necessaria e imprescindibile – non può dividersi da un progetto, da un disegno strategico dei comunisti e della sinistra di classe e di alternativa. Concordi? Ed eventualmente: qual è la risposta tattica, di fase, del “qui e ora”, in Italia, delle forze comuniste e di sinistra? E qual è il progetto strategico che occorre definire in questa fase, a cui dare corpo, di fronte alla crisi del modello capitalistico?


Oliviero Diliberto - L’impressione è che siamo davvero, con ogni probabilità, di fronte alla più grave crisi nella storia del capitalismo, anche perché, rispetto alle altre crisi tradizionali, che erano sostanzialmente crisi di sovrapproduzione, qui siamo di fronte ad una crisi sistemica dal punto di vista del capitale finanziario. Il paradosso di fronte al quale siamo è che le grandi banche hanno creato artificialmente un mercato parallelo a quello tradizionale, che è il mercato dei cosiddetti titoli tossici, scambiandoseli tra loro e facendoli acquistare agli stati e ai privati cittadini. Questi titoli tossici non esigibili hanno creato la crisi del sistema bancario mondiale. Molti stati, tra cui l’Italia (anche se in misura minore), ma sicuramente gli Stati Uniti d’America, per salvare le banche dalla crisi che esse stesse avevano creato, hanno investito ingenti risorse pubbliche nel sistema bancario. Nel momento in cui questi soldi venivano investiti, da qualche altra parte andavano tolti e sono stati tolti: sono stati sottratti allo stato sociale che, come tutti sappiamo, è salario indiretto dei lavoratori, così come sono stati tolti al sistema pensionistico, che, come è altrettanto noto, è salario differito. Le misure che sono state prese, largamente imposte dalla BCE e dal FMI, dimostrano una cosa agghiacciante, di cui si parla secondo me poco, almeno non a sufficienza, rispetto al pericolo: il fatto è che il sistema economico capitalistico ha sostituito le democrazie rappresentative, anche le forme di democrazia borghese, e questo rappresenta un vulnus, una ferita gravissima a tutti i principi fondativi, da Montesquieu in avanti. Quindi, come vedi, non sto parlando di comunismo, ma del sistema liberale tradizionale, che è saltato. E questo in Italia ha un’accentuazione, perché il nostro sistema politico istituzionale è saltato ancor prima della crisi economica. Molto schematicamente: il parlamento ha iniziato ad essere sotto attacco sin dai primi anni 90, perché non è vero che la crisi del sistema rappresentativo deriva dal porcellum. La crisi del sistema rappresentativo italiano e della centralità del parlamento nasce con la fine del sistema elettorale proporzionale. La teoria della centralità del parlamento si fonda sulla circostanza che esso rappresenta la società e la rappresenta nella misura in cui proporzionalmente tutte le forze politiche, sociali, culturali, le religioni, nella proporzione esatta in cui sono nella società, si riproducono nel parlamento. In questo modo esso è contemporaneamente luogo di mediazione politica, ma anche luogo di conflitto. Nel momento in cui si è passati al maggioritario, si è abbastanza rapida - mente tornati a un sistema notabilare. Non è vero che i collegi elettorali diano al popolo la possibilità di scegliere i propri rappresentanti, perché il popolo viene messo di fronte alla scelta, operata da coalizioni, di personaggi anch’essi scelti dall’alto, inevitabilmente spesso lontani dal rappresentare gli interessi popolari. La crisi dei partiti di massa ha poi determinato una crisi ancora più grave, che è quella della costruzione dei gruppi dirigenti e delle rappresentanze istituzionali. Se ci facciamo caso – a me è capitato di fare questa indagine qualche anno addietro - la composizione sociale del parlamento è profondamente mutata rispetto agli anni della cosiddetta “prima repubblica”. Sono completamente spariti i lavoratori dipendenti, il lavoro salariato, perché, nel momento in cui bisogna fare uomo contro uomo, o donna contro donna, nella rappresentatività evocativa, non reale, chi viene scelto? Viene scelto il notaio, l’attore, il cantante, il professionista di grido, cioè persone che già fanno parte della classe dirigente, espungendo totalmente le persone “normali”, tanto più il lavoro dipendente salariato tradizionale. Quindi in Italia c’è un’aggravante pregressa. Col porcellum si è arrivati infine al parlamento dei nominati e quindi allo stravolgimento della democrazia. A questo bisogna aggiungere che il parlamento non svolge più una funzione legislativa tradizionale, che è stata sostituita dal governo. Il 97% dei provvedimenti approvati nei primi tre anni di questa legislatura sono di provenienza governativa, cioè non sono leggi che nascono in parlamento, in quello che dovrebbe essere il potere legislativo. Quindi l’esecutivo ha sostituito il legislativo. Il terzo potere dello stato, la magistratura, stando sempre alla visione tradizionale di Montesquieu, è sotto attacco continuo, sotto delegittimazione continua di uno dei medesimi poteri dello stato, cioè l’esecutivo. Tutto questo ha minato alla radice gli equilibri costituzionali costruiti faticosamente nei primi quarant’anni di vita repubblicana e l’impatto della crisi economica ha creato una miscela esplosiva di debolezza delle istituzioni e contemporaneamente di grave crisi economica. La debolezza delle istituzioni nasce anche da una sorta di cortocircuito con il sistema informativo in Italia. Mentre tutti i paesi del mondo, anche quelli governati dalla destra, si pongono il problema di quali misure adottare per uscire dalla crisi, il sistema informativo italiano nel suo complesso è passato da Noemi Letizia a Ruby rubacuori e alle intercettazioni odierne. Non è un giudizio moralistico, non me ne può importare di meno. Dico che mentre in Germania, amministrata dalla destra, con delle politiche economiche peraltro anche concertate con il sindacato, e anche con il sindacato di classe come la IG-Metall, sono usciti o stanno uscendo dalla crisi rafforzati, qui in Italia non c’è il barlume di una manovra in grado se non altro di salvare il salvabile. Faccio degli esempi. La manovra economica odierna è stata descritta dalla stessa Confindustria come depressiva. Lo è, ma è una depressione che colpisce innanzitutto le fasce deboli. E tutte le misure, a iniziare dall’aumento dell’IVA, sono devastanti, proprio perché da un lato impoveriscono e dall’altro, nell’impoverimento, indeboliscono la do manda interna: il risultato è la restrizione dei mercati interni, un disastro al quale si aggiunge – per il capitalismo italiano – l’estrema difficoltà nella competizione internazionale, in virtù della natura “nanocapitalistica” del capitalismo nostrano e per il fatto che esso non sceglie la strada dell’innovazione tecnologica e degli investimenti per la produzione d’avanguardia, ma solo la strada della ricerca del saggio di profitto attraverso un sempre maggiore sfruttamento sul lavoro. Sul fronte delle esportazioni, ad esempio, noi in Italia non abbiamo più un brevetto innovativo e dunque anche per questo non siamo competitivi sul fronte internazionale. In Germania la grande operazione che è stata fatta è un gigantesco investimento nel settore della cultura, della scuola, dell’università, perché è l’unico modo di essere competitivi a livello planetario. La risposta che c’è stata in Italia alla manovra economica - ripeto ingiusta e contemporaneamente inadeguata - è stata per fortuna quella della CGIL. Ma la CGIL non ha più una sponda politica. È dunque venuta meno l’opposizione sociale e politica. I continui appelli all’unità nazionale per varare rapidamente la manovra economica li ho trovati sconcertanti. Il nostro ruolo – per rispondere anche ad una delle due domande – secondo me ha, dovrebbe avere, diverse facce. La prima è un’opposizione sociale radicale. Uso volutamente questo termine, perché viene spesso abusato nei nostri confronti: “la sinistra radicale”. Noi non siamo “sinistra radicale”, noi siamo comunisti, è una cosa diversa. Ma la risposta di opposizione non può che essere radicale; intelligentemente, perché è ovvio che c’è un profilo di difesa delle istituzioni che va costruito in un sistema di alleanze con tutte le forze democratiche. Ma dobbiamo lavorare per essere all’altezza di questo compito, essere catalizzatori o comunque parte fondamentale del movimento di massa contro questa manovra, contro l’attacco governativo, padronale e dell’Unione europea. Secondo. Costruire intorno ai comunisti proprio quel punto di riferimento sociale, politico e istituzionale che è completamente mancato per la CGIL. La CGIL fa il suo mestiere, con alti e bassi, per carità, fa il sindacato, che è un’altra cosa, e quindi il sindacato deve anche trattare col governo, qualunque esso sia, come tratta coi padroni. Ma se il sindacato non ha in parlamento un punto di riferimento chiaro, che ne sostenga le lotte sul piano istituzionale, è destinato ad essere perdente nel medio periodo. E se non ha un punto di riferimento sociale, anche la sua battaglia nelle piazze è destinata a indebolirsi. Per cui costruire una sinistra che sia in grado di fornire una sponda politica e sociale al sindacato – in questo caso il sindacato CGIL ovviamente, visto che CISL e UIL hanno scelto una linea collaborativa con Berlusconi - è uno degli obiettivi di medio periodo che noi ci dobbiamo dare. Sulle questioni principali la Federazione della sinistra - cioè noi, Rifondazione e gli altri -, Sel, ma persino Di Pietro, che si è schierato con la FIOM contro Marchionne, possono essere un punto di riferimento più largo, e dunque più forte - perché i rapporti di forza contano, eccome! - per provare a costruire quel blocco di sponda verso la CGIL. Questo sistema di alleanze di sinistra poi deve dialogare con tutti, nel tentativo di sconfiggere la destra e riportare ad un equilibrio istituzionalmente accettabile questo nostro disgraziato paese. Senza pasticci! aggiungo io. Dentro il Pd c’è un dibattito, un dibattito vero, tra linee e anime diverse. C’è chi vuole un’alleanza con la parte conservatrice, cioè con l’UDC, che non è moderata, è conservatrice, e chi vuole l’alleanza a sinistra. Non possiamo essere inerti di fronte a questo dibattito; non possiamo rimanere indifferenti rispetto alla discussione che c’è dentro il Pd. Per costruire le condizioni per fare un accordo col Pd dobbiamo metterci del nostro, nel senso che, sapendo che non siamo in grado di avere un accordo su tutti i punti programmatici – ne cito uno, enorme: sulla guerra non potremmo essere d’accordo, com’è ovvio – tuttavia possiamo costruire un programma minimo su alcuni punti fondamentali, con cui fare un accordo alla luce del sole, di fronte agli elettori e alle elettrici. Ciò è indispensabile. Ci sono le condizioni perché - per lo meno con la segreteria Bersani, che ha un’impostazione diciamo di tipo socialdemocratico - si stringa un accordo sul tema delle condizioni materiali di vita dei lavoratori - penso al precariato -, sulla scuola pubblica, su una politica fiscale seria, equa, che faccia pagare le tasse agli evasori. Credo che questi due sistemi di alleanze, a sinistra e nel centro-sinistra, siano indispensabili anche per porre le basi per costruire un partito comunista. Dunque, per non eludere le tue domande: sul piano della fase contingente è del tutto evidente che il nostro compito è quello di essere protagonisti della lotta di liberazione contro questo marcio regime berlusconiano, che dopo vent’anni ha intossicato il Paese e ha corrotto una parte importante del senso comune di massa; si è ramificato come un tumore all’interno delle istituzioni e in ogni ganglio del complessivo sistema di potere italiano, prendendo pieno possesso – tra l’altro – del maggior terreno, oggi, dell’organizzazione del consenso di massa: i media. Di questo regime dobbiamo liberarci, riconsegnando un respiro al Paese e al nostro popolo. Il livello di corruzione e di avvelenamento dell’intero sistema democratico, sociale e istituzionale operato dal regime berlusconiano è probabilmente sottovalutato anche a sinistra. Essere protagonisti della lotta contro questa destra per molti versi inquietante è – per i comunisti – non solo cosa giusta in sé, ma – dialetticamente – essa è funzionale, decisiva, per l’accumulazione di forze comuniste, per la ricostruzione dei suoi legami di massa, per la riconquista di un ruolo nazionale, per la ricostruzione – dunque – dello stesso Partito comunista, obiettivo che è il cuore della nostra discussione congressuale. Ed è del tutto evidente che tra questo obiettivo di fase e la questione strategica che ponevi vi è un legame: la riproposizione, infatti, di un progetto di trasformazione sociale che getti le basi per la riapertura di un orizzonte socialista passa anche – in modo determinante – attraver- so la rimessa in campo del soggetto politico e sociale che più di ogni altro vuole riaprire tale orizzonte: il partito comunista, un partito con legami e linea di massa, obiettivi tutti da conquistare.

Fosco Giannini - Tra il quattro e il cinque dello scorso agosto il presidente della Banca centrale europea Trichet, assieme al futuro presidente, Draghi, invia una “lettera di intenti” al governo italiano, imponendo, di fatto, quella politica, quella manovra di lacrime e sangue firmata poi dal ministro Tremonti. La “lettera d’intenti” si è rivelata in verità un vero e proprio diktat e l’azione della Bce un’azione sempre più chiaramente volta ad esautorare il governo e il Parlamento italiani. Stessa sorte, peraltro, è toccata a gran parte degli altri governi e stati europei. Mai come in questa fase – insomma – l’Unione europea ha dimostrato il proprio carattere di potere antipopolare e iperliberista sovranazionale, tendente a sovraordinare le politiche dei governi europei, a sovraordinare le scelte contingenti degli stati e a decidere il futuro dei popoli. Quale dev’essere, alla luce della dura realtà delle cose, la posizione dei comunisti rispetto a questa Unione europea?

Oliviero Diliberto - È del tutto evidente che la scomparsa dell’Urss e l’unificazione della Germania hanno imposto un’accelerazione decisiva nel processo di integrazione europea e insieme a tale accelerazione hanno imposto una natura politica liberista e conservatrice alla Ue. L’asse francotedesco ha dettato i principi monetaristi della Bundesbank, poi tutti assunti nel Trattato di Maastricht. L’Unione europea che ne deriva si sposta sempre più a destra e offre al grande capitale gli strumenti per un attacco di vaste proporzioni contro l’intero mondo del lavoro europeo. Questa Ue che vuol pensarsi come un nuovo polo economico per la conquista dei mercati internazionali, crede di aver bisogno – per svolgere tale ruolo, per essere competitiva – di abbattere il costo delle merci attraverso la via iperliberista classica: abbattimento dei salari, dei diritti e dello stato sociale. Va notato come, a mano a mano che si acutizza la crisi capitalistica mondiale, l’Ue acceleri e acutizzi i propri processi e progetti liberisti: la Bce tende a costituirsi sempre più come potere sovranazionale in grado di sovraordinare le politiche e le scelte dei governi europei (è ciò che è accaduto al governo e al parlamento italiani, espropriati dalla lettera di Trichet e Draghi, della loro autonomia e dei loro poteri), sino al punto di dettare la qualità e l’entità di una manovra economica. Questa Ue distrugge il welfare che proprio in Europa si era storicamente costituito; individua nel lavoro il soggetto che massimamente deve sacrificarsi per far sì che essa possa presentarsi sul piano della concorrenza internazionale come un sog getto vincente. Non è questa la Ue che serve ai la voratori e ai popoli d’Europa. Contro questa Ue serve il massimo di mobilitazione e di lotta, che deve vedere i comunisti in prima fila.
Fosco Giannini - L’Unione europea delinea e fa mettere in campo una politica di spoliazione dei popoli che produce le stesse sofferenze di massa da Atene a Lisbona, passando – per così dire - da Roma, Parigi e Londra. Siamo di fronte ad un attacco antipolare scientemente condotto dall’unità del capitale transnazionale europeo, che trova il proprio braccio politico ed economico nello spirito di Maastricht e nelle linee della Bce.

Fosco Giannini - Rispetto a ciò, non è forse ora che a questo disegno antipopolare di carattere unitario e sovranazionale, i popoli, il movimento operaio complessivo europeo rispondano con un lotta dallo stesso carattere sovranazionale? Non è ora che i comunisti e le forze della sinistra inizino a pensare a un progetto di lotta in grado di unire i lavoratori greci con quelli italiani, francesi, portoghesi? Non è ora che si apra una riflessione su una loro unità d’azione su scala continentale?

Oliviero Diliberto - L’internazionalismo deve essere, come è sempre stato nella cultura e nella prassi dei comunisti, un nostro cardine. È del tutto evidente che siamo di fronte ad uno scarto vistoso tra i processi di unificazione transnazionale del capitale europeo, tra i suoi progetti di lotta su scala continentale e la capacità del movimento operaio dell’Ue di rispondere a tale livello. Il problema dell’unità del mondo del lavoro, delle sue lotte su scala europea, per rispondere in modo unitario e più incisivo agli attacchi della BCE e di Maatricht, si pone come uno dei problemi fondamentali per l’oggi e per il domani, e sempre più a mano a mano che si consoliderà l’Ue e rimarranno tali le sue politiche antisociali. Maggiore sarà la forza nazionale delle organizzazioni comuniste e di sinistra, maggiore sarà la loro possibilità di estendere, in modo unitario, la loro lotta su scala continentale. Anche per questo motivo, decisivo è il rilancio, la ricostruzione del Partito comunista in Italia. Questa Ue va profondamente, radicalmente cambiata e senza un lungo ciclo di lotte sociali non sarà possibile. Ed è chiaro che questa esigenza, questo progetto di lotta che parte dalle aree nazionali per estendersi in modo unitario sul più vasto terreno europeo, chiama in campo non solo i comunisti e la sinistra, ma lo stesso movimento sindacale. Anch’esso deve porsi il problema della Ue, della sua intera area, come nuovo terreno di lotta.

Fosco Giannini - L’aggressione imperialista contro la Libia è stata condotta dalla Nato, dai paesi ad essa subordinati – compresa l’Italia – con una ferocia, con una platealità di intenti, con una determinazione che sembrano segnare persino una nuova fase dell’aggressività imperialista, nel senso che gli obiettivi reali non vengono più nemmeno mascherati o nascosti. Rispetto a tanta chiara determinazione della Nato, della Francia, dell’Inghilterra, degli Usa; rispetto ai massacri perpetrati a Tripoli e in tanta parte dei territori libici; rispetto al fatto che anche la stampa borghese italiana sempre più chiaramente ha parlato di “guerra per il petrolio”, non si è sollevato nel nostro Paese un minimo movimento di massa contro la guerra. Come spieghi questa drammatica carenza, questo silenzio? E cosa occorre fare per invertite la rotta?

Oliviero Diliberto - Il poderoso tentativo di rimozione della categoria dell’imperialismo – portato avanti in tanta parte della sinistra italiana e che ha avuto come prodotto la dismissione di una prassi antimperialista - non aiuta certamente a decodificare la natura aggressiva, spoliatrice, delle guerre degli Usa, della NATO e dei paesi capitalisti. Il caso della guerra contro la Libia è significativo, persino paradigmatico: l’orrore di questa guerra, la determinazione e la ferocia neocolonialista del governo francese, inglese e dell’intera Alleanza non è stata colta e percepita. Ho sentito, anche a sinistra, ragionamenti fuorvianti, secondo i quali schierarsi contro la guerra avrebbe significato “essere dalla parte del dittatore Gheddafi”. È chiaro che questa argomentazione è il segnale probante di quanto il senso ultimo dell’attacco contro la Libia (la riconquista del petrolio) non sia stato compreso. È vero: vi è stato uno scarto drammatico tra la guerra e il fondamentale silenzio del movimento contro la guerra. E certo occorre mettere a fuoco anche le responsabilità, in questo, dei comunisti e delle forze di sinistra, non più in campo come un tempo. Non c’è dubbio, da questo punto di vista, che, anche in relazione al progetto di ricostruzione del Partito comunista, l’obiettivo di rimettere in campo un vasto movimento contro le guerre, contro le spese militari, contro la Nato, deve divenire uno dei nostri compiti prioritari.

Fosco Giannini - A fine ottobre si svolgerà a Rimini il VI Congresso del PdCI, il Partito di cui sei il segretario. La parola d’ordine sarà “Ricostruire il partito comunista”. Cosa vuol dire, oggi, tale parola d’ordine? Attraverso quali percorsi pensi si debba giungere ad un obiettivo politicamente e socialmente ambizioso come questo? Quali sono i nodi politici centrali che occorre affrontare per dar vita al progetto? Quali nodi teorici vanno sciolti affinché “la ricostruzione” possa giungere a mettere in campo un partito comunista all’altezza dei compiti attuali e dell’attuale scontro di classe? Come accumulare le forze comuniste attorno alla parola d’ordine congressuale? Come convincere il PRC al progetto unitario? Come attrarre al progetto la diaspora comunista italiana, quella stessa che dopo lo scioglimento del PCI e il fallimento del progetto della “rifondazione comunista”, non trova più la propria organizzazione, il proprio partito comunista?

Oliviero Diliberto - Noi siamo alla vigilia del congresso. La nostra linea è ormai nota. È la stessa da tre anni a questa parte. Grazie anche a questa linea il partito si è rafforzato, e tante compagne e tanti compagni sono tornati e sono venuti con noi. È la linea della ricostruzione di un unico partito comunista, diciamo il meno piccolo possibile, per non dire grande. È un’offerta che noi facciamo com’è ovvio innanzitutto al PRC, che va a congresso anch’esso. Quindi, quale occasione migliore se ci fosse una comune volontà? Ad oggi le risposte non sono state soddisfacenti. Siamo riusciti a costruire con molte contraddizioni un’alleanza federativa che si chiama Federazione della sinistra. Per noi è un passaggio, non è un punto di arrivo. Noi continuiamo a pensare che, pur con differenze di cultura politica, che ci sono, si possa stare tutti quanti dentro un unico partito comunista. Perché ricostruire il Partito comunista? Semplicemente perché quelli che ci sono non hanno ancora la forza sufficiente e perché è la stessa oggettività delle cose (l’attacco durissimo del capitale contro il mondo del lavoro e la democrazia, la crisi sistemica degli assetti capitalistici) a richiederlo. È la stessa solitudine dei lavoratori a richiederlo. Con quali passaggi si arriva ad un unico Partito comunista? Il primo, naturalmente, è che il PRC si convinca che non vi sono alternative all’unità. Ed è per questo che continua e si innalza – anche nel nostro Documento congressuale – la nostra offensiva unitaria. Ma l’unità si costruisce anche dal basso, nell’unità dei comunisti, nelle lotte, contro le guerre, a fianco dei lavoratori, contro la manovra economica. E si costruisce abbandonando le diffidenze reciproche, mettendo al primo posto l’esigenza di accumulare forze, a partire da quelle che abbiamo, per essere credibili nella lotta, per essere credibili agli occhi dei lavoratori. Ricostruire il partito comunista vuol dire anche ripensare ai tanti errori commessi, dall’una e dall’altra parte: i momenti di subordinazione istituzionale, le assenze nei movimenti di lotta, l’eclettismo culturale, il mancato radicamento nei luoghi di lavoro e nei territori. Vuol dire recuperare il meglio della cultura e della prassi del movimento comunista del ‘900 (le lotte di massa, lo spirito rivoluzionario, la capacità di esprimere una linea di massa ed un ruolo nazionale, il rapporto con i movimenti di lotta, il legame col movimento comunista e antimperialista mondiale, l’internazionalismo) e non ripetere gli errori (a cominciare dalla fascinazione di continue nuove vie, quasi sempre cavalli di troia per il superamento, in varie direzioni, dei partiti comunisti). Noi lo scriviamo chiaramente nel nostro Documento congressuale: “Siamo ancora qui perché abbiamo scelto l’unità come cifra della nostra resistenza e sconfitto liquidazionismi, settarismi ed estremismi. Abbiamo dimostrato che il nostro Partito non si può annettere o disgregare. Con questo Congresso scegliamo autonomamente di essere “su perabili” e, pertanto, ci mettiamo a disposizione della ricostruzione di un nuovo e più forte partito comunista, a partire dall’unificazione con il Partito della Rifondazione Comunista. E proponiamo alla Federazione della Sinistra di mettersi essa stessa a disposizione della costruzione di un più ampio processo unitario di tutta la sinistra. Perché, sconfitto Berlusconi, il modello Marchionne rimane. C’è bisogno dei comunisti e della sinistra per ridare centralità al lavoro, sconfiggere la precarietà e restituire valore a salari, stipendi e pensioni. E solo una sinistra unita sulle cose da fare potrà proporre con successo un modello di società più giusta e conseguire dei risultati concreti. È così, è molto chiaro e lo ripeto.


(L'intervista è pubblicata nel numero in corso di distribuzione della rivista MarxVentuno)

sabato 22 ottobre 2011

Eletti gli Organi Dirigenti della neonata Sezione Locale


Giovedì, 20/10/2011, a Luzzi si è costituito in forma ufficiale il neonato circolo del Partito dei Comunisti Italiani – Federazione della Sinistra. Alla presenza di Michele Cosentino, membro della segreteria provinciale del PdCI, i tesserati locali del partito hanno eletto il proprio direttivo, costituito rispettivamente da Simonvincenzo De Marco, Pietro Ciardullo, Camillo Borchetta, Giacomo Middea, Patrizio Pucci, Luca Mario Assunto e Mattia Tutolo. Dopo una discussione pacata e collegiale, all’unanimità è stato eletto alla carica di segretario Pietro Ciardullo, giovane studente universitario, a quella di vicesegretario Simonvincenzo De Marco, collaboratore didattico della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria, e come tesoriere Camillo Borchetta, studente Unical. Gli stessi, oltretutto, da diversi anni sono politicamente attivi sull’intero territorio luzzese. Agli altri membri del direttivo, infine, sono state attribuite varie responsabilità inerenti il rapporto col territorio.

È bene ricordare che la costituzione del partito nasce innanzitutto come segno di discontinuità rispetto all’azione giudicata assolutamente negativa dei vertici locali del Prc e del rappresentante istituzionale dello stesso partito in seno al consiglio comunale. Un cammino totalmente individuale ed autoreferenziale che ha portato i dirigenti fuoriusciti ad operare una netta scelta di rinnovamento. L’idea portante che sta alla base del circolo PdCI, infatti, è quella di operare al fine di garantire alla politica odierna quel ricambio generazionale oramai imprescindibile. Troppi, a giudizio degli stessi dirigenti, i “mammuth” ancora presenti sullo scenario politico locale. E non è solo una questione anagrafica, bensì una presa d’atto che inerisce anche a certa mentalità diffusa per cui a comandare “devono essere sempre gli stessi”. Nell’epoca storica attuale, segnata dalla crisi del modello ultraliberista mondiale, il primo passo verso un cambiamento di cose deve essere quello di un netto capovolgimento delle risorse e delle possibilità a favore delle generazioni precarie, dei disoccupati e di quanti versano in condizioni di disagio, senza più ingrossare le pance già stracolme di tanti vecchi del mestierare politico.
Il Partito dei Comunisti Italiani di Luzzi, sulla base di questi presupposti, opererà affinché in vista delle prossime amministrative si possa costruire una rinnovata coalizione di centrosinistra organico, in cui gli elementi di discontinuità e ringiovanimento ne siano la base. A tal punto esprimiamo il rammarico per la fine anticipata dell’amministrazione appena venuta meno, sebbene esortiamo tutte le forze politiche luzzesi al confronto in vista di un nuovo cammino sotto l’insegna del progresso e del cambiamento. Da questo punto di vista auspichiamo un dialogo con le forze sane di sinistra, quelle democratiche, con l’associazionismo e l’intera società civile.
 Nota finale: è aperto il tesseramento corrente al partito, che a pochi giorni dalla nascita segna già un numero notevole di iscritti, la cui quasi totalità è costituita da giovani. L’età media degli iscritti attuali al PdCI, infatti, non supera i 30 anni.

venerdì 21 ottobre 2011

Testamento politico di Muammar Gheddafi, Guida della Rivoluzione della Grande Jamahiriya Araba Libica Popolare Socialista




In nome di Allah, il Clemente, il Misericordioso;
Per 40 anni, o magari di più, non ricordo, ho fatto tutto il possibile per dare alla gente case, ospedali, scuole, e quando aveva fame, gli ho dato da mangiare convertendo anche il deserto di Bengasi in terra coltivata.
Ho resistito agli attacchi di quel cowboy di nome Reagan, anche quando uccise mia figlia, orfana adottata, mentre in realtà cercando di uccidere me, tolse la vita a quella povera ragazza innocente. Successivamente aiutai i miei fratelli e le mie sorelle d’Africa soccorrendo economicamente l'Unione africana, ho fatto tutto quello che potevo per aiutare la gente a capire il concetto di vera democrazia in cui i comitati popolari guidavano il nostro paese; ma non era mai abbastanza, qualcuno me lo disse, tra loro persino alcuni che possedevano case con dieci camere, nuovi vestiti e mobili, non erano mai soddisfatti, così egoisti che volevano di più, dicendo agli statunitensi e ad altri visitatori, che avevano bisogno di "democrazia" e "libertà", senza rendersi conto che era un sistema crudele, dove il cane più grande mangia gli altri.
Ma quelle parole piacevano, e non si resero mai conto che negli Stati Uniti, non c’erano medicine gratuite, né ospedali gratuiti, nessun alloggio gratuito, senza l’istruzione gratuita o pasti gratuiti, tranne quando le persone devono chiedere l'elemosina formando lunghe file per ottenere un zuppa; no, non era importante quello che facevo, per alcuni non era mai abbastanza.
Altri invece, sapevano che ero il figlio di Gamal Abdel Nasser, l'unico vero leader arabo e musulmano che abbiamo avuto dai tempi di Saladino, che rivendicò il Canale di Suez per il suo popolo come io rivendicai la Libia per il mio; sono stati i suoi passi quelli che ho provato a seguire per mantenere il mio popolo libero dalla dominazione coloniale , dai ladri che volevano derubarci.Adesso la maggiore forza nella storia militare mi attacca; il mio figliuolo africano, Obama, vuole uccidermi, togliere la libertà al nostro paese, prendere le nostre case gratuite, la nostra medicina gratuita, la nostra istruzione gratuita, il nostro cibo gratuito e sostituirli con il saccheggio in stile statunitense, chiamato "capitalismo", ma tutti noi del Terzo Mondo sappiamo cosa significa: significa che le corporazioni governano i paesi, governano il mondo, e la gente soffre, quindi non mi rimangono alternative, devo resistere.
E se Allah vuole, morirò seguendo la sua via, la via che ha arricchito il nostro paese con terra coltivabile, cibo e salute e ci ha permesso di aiutare anche i nostri fratelli e sorelle africani ed arabi a lavorare con noi nella Jamahiriya libica.
Non voglio morire, ma se succede, per salvare questo paese, il mio popolo e tutte le migliaia che sono i miei figli, così sia.
Che questo testamento sia la mia voce di fronte al mondo: che ho combattuto contro gli attacchi dei crociati della NATO, che ho combattuto contro la crudeltà, contro il tradimento, che ho combattuto l'Occidente e le sue ambizioni coloniali, e che sono rimasto con i miei fratelli africani, i miei veri fratelli arabi e musulmani, come un faro di luce, quando gli altri stavano costruendo castelli.
Ho vissuto in una casa modesta ed in una tenda. Non ho mai dimenticato la mia gioventù a Sirte, non spesi follemente il nostro tesoro nazionale, e, come Saladino, il nostro grande leader musulmano che riscattò Gerusalemme all'Islam, presi poco per me ....
In Occidente, alcuni mi hanno chiamato "pazzo", "demente", però conoscono la verità, ma continuano a mentire ; sanno che il nostro paese è indipendente e libero, che non è in mani coloniali, che la mia visione, il mio percorso è, ed è stato chiaro per il mio popolo : lotterò fino al mio ultimo respiro per mantenerci liberi, che Allah Onnipotente ci aiuti a rimanere fedeli e liberi.

Colonnello Muhammar Gheddafi, 5 aprile 2011





Iscrivetevi al Partito dei Comunisti Italiani - Federazione della Sinistra - sezione di Luzzi (Cosenza)

lunedì 17 ottobre 2011

Gruppo dirigente giovanile lascia il Prc. Nasce a Luzzi il Partito dei Comunisti Italiani.

Un’importante componente della direzione locale del Prc, composta da Simonvincenzo De Marco, Camillo Borchetta, Pietro Ciardullo e Rocco Falbo, annuncia ufficialmente la propria fuoriuscita dal partito. I motivi che hanno indotto i 4 dirigenti, insieme ad altri giovani militanti,  a questa scelta sono di ordine politico e amministrativo. Gli stessi, già appartenenti all’area de “l’Ernesto” hanno deciso di sposare in pieno il progetto di “ricostruzione” di un unico Partito Comunista che sappia porsi a capo, nell’attuale fase storica e con i rapporti di forza oggi esistenti, delle lotte di giustizia sociale per il lavoro e la tutela delle classi meno abbienti. In Rifondazione, a differenza che nel partito dei Comunisti Italiani, questo progetto ha trovato e continua purtroppo a trovare l’ostruzione di alcune aree e di importanti esponenti nazionali.
Oltre a questa motivazione, tale passo è giunto in seguito alle reiterate negligenze e difficoltà che nel circolo cittadino del Prc si sono registrate da più tempo a questa parte. In aggiunta, dal punto di vista amministrativo, lamentiamo l’assoluta non condivisione delle scelte operate dal rappresentante in giunta di Rifondazione.
Cogliamo infine l’occasione di annunciare la costituzione del circolo del Partito dei Comunisti Italiani (Pdci) a Luzzi, proponendoci, come punto di riferimento per coloro che per disaffezione, nonostante  abbiano a cuore i valori e gli ideali sopracitati, si sono volontariamente allontanati da una politica ormai appannaggio di un mondo esclusivamente affaristico e clientelare, e come trampolino di lancio per i giovani, le donne e quanti hanno voglia di contribuire propositivamente al cambiamento dello stato di cose presenti, mettendo a disposizione le proprie capacità.
Invitiamo a visitare il nuovo Blog “comunistiitalianiluzzi@blogspot.it” e a contattarci sulla nostra pagina facebook.

giovedì 13 ottobre 2011

LA NOSTRA STORIA, LE NOSTRE INIZIATIVE. Non possiamo più attendere!

Care compagne e cari compagni, non possiamo più attendere, non si può più prescindere dalla costruzione di un più grande, unico, partito comunista; ce lo impone la fase, questo stesso contesto storico, ma ce lo chiede soprattutto il Paese, un Paese allo sbando, alla deriva sul piano economico, sociale, politico, cultural e morale La nascita della Federazione della Sinistra rappresenta un punto di partenza fondamentale verso il processo graduale di riunificazione che, auspico, deve trovare al più presto compimento. Da un verso la crisi economica, dall’altro la Repubblica del bunga bunga che oggi viviamo, ci fanno capire quanto profondo sia il bisogno della cultura e della prassi comunista in questa società. Questa esigenza oggettiva chiama in causa i nostri gruppi dirigenti, i movimenti e tutte le forze che si rifanno alla tradizione marxista e gramsciana per affrontare il presente e approcciarsi al futuro al meglio, mettendo in campo gli strumenti per ricongiungersi alla classe, al popolo, che oggi più che mai è solo, abbandonato a se stesso e senza prospettive.E’giunta l’ora, compagni e compagne, di unire le forze e di rispondere da comunisti ai disagi degli sfruttati e degli oppressi, a cominciare dalla nostra Calabria. Dobbiamo avere la capacità di ricongiungere la storia e i movimenti delle forze di matrice socialista e comunista italiane ( sconfitte nel nostro Paese in questa fase storica) alle esperienze vincenti nel mondo, dall’America Latina alla Cina. Le condizioni oggettive per il rilancio di una forza comunista di quadri con una linea di massa vi sono tutte; a mancare sono quelle soggettive, per questo è necessario accelerare il processo di unificazione dei comunisti, soprattutto ora che la crisi si sta manifestando in tutta la sua crudeltà sociale e virulenza politica.Lo scorso inverno ho avuto la fortuna di partecipare ( con altri due compagni di Luzzi, Camillo Borchetta e Luciano Altomare) alla conferenza nazionale dei Giovani Comunisti, conferenza che si è su articolata su tre concetti, tre punti che ritengo fondamentali per rilanciare l’azione dei comunisti: Unità, Radicamento, Conflitto. L’unità delle forze comuniste e di sinistra è il primo punto da affrontare; in seconda battuta il radicamento: ecco, se c’è una cosa che i comunisti debbono imputarsi in questi anni è proprio l’aver perso il radicamento sul territorio, che da sempre era stato il loro fiore all’occhiello, il senso profondo dei comunisti, che debbono essere legati alla classe e alla società; infine il conflitto, un conflitto sociale di cui, oggi più che mai, si sente il bisogno: essere alla testa delle lotte, sorreggerle e sollecitarle. Io penso che i comunisti e la sinistra italiana debbano ripartire dalla grande lezione che ci hanno dato gli operai di Mirafiori, a tutti quelli, e sono maggioranza, che hanno detto No al ricatto di Marchionne. Ripartiamo da loro, dai lavoratori, dagli studenti in lotta, dalle classi sociali più deboli; c’è bisogno di una sinistra che non sia vincolata ai poteri forti di questo Paese, alle banche, alle assicurazioni, al Marchionne di turno. I tempi sono maturi per la creazione sia di un Partito comunista che – conseguentemente - di un grande fronte di sinistra anticapitalista, una sinistra che si faccia portavoce delle problematiche dei lavoratori, degli studenti, degli ambientalisti, facendone un motivo comune di lotta. Una sinistra anticapitalista che abbia come cuore pulsante un Partito comunista unito, di lotta, di classe, antimperialista e internazionalista.C’è bisogno dei comunisti per combattere le disuguaglianze sociali che si sono venute a creare nel nostro Paese. C’è bisogno del Partito comunista per difendere la nostra Costituzione, perché torni il diritto fondamentale di ogni cittadino, quello di essere uguale di fronte alla Legge.C’è bisogno dei comunisti per garantire a tutti l’istruzione, un’Istruzione Pubblica che si basi sulla meritocrazia. Serve un Partito comunista affinché una ragazza della nostra generazione non abbia come prospettiva ideale quello di fare la velina e poi, magari, cercare i soldi facili vendendo il proprio corpo a vecchi porci mafiosi, che con i loro soldi pensano di avere qualsiasi diritto e qualsiasi privilegio. C’è bisogno del Partito comunista per dare la possibilità agli elettori di scegliersi autonomamente i propri rappresentanti nelle istituzioni. Servono i comunisti per combattere i padroni come Marchionne, che si approfittano della disperazione dei lavoratori, mettendoli di fronte a scelte di vita drammatiche, con lo squallido strumento del ricatto. Bisogna combattere questi sfruttatori che aumentano i loro capitali sulle spalle e col sudore di quegli operai che lavorano a ritmi frenetici e massacranti per 10 o più ore al giorno per un tozzo di pane, senza alcun diritto, garanzia e soprattutto senza sicurezza (ricordiamoci in ogni istante quanti sono gli incidenti mortali, e non solo, sul lavoro!).C’è bisogno dei comunisti perché in un paese civile due persone che condividono una vita insieme , anche se non legati da alcun vincolo, abbiano pari diritti e pari dignità di fronte alla Legge. Serve un Partito comunista per educare le persone alla tolleranza e al rispetto verso il prossimo, al di là della razza, della religione e delle scelte sessuali. Dobbiamo far capire a quel pezzo d’Italia che lo ignora che l’immigrato è una risorsa per il Paese e un immigrato che delinque è come un italiano che delinque, quindi occorre distinguere tra persone oneste e disoneste e non tra italiani e stranieri.C’è bisogno dei comunisti, perché i soldi dello Stato non vengano usati per finanziare orrende missioni di guerra, dove a perdere la vita sono i nostri soldati e migliaia di civili tra uomini, donne e bambini (nel silenzio dei media occidentali), ma questi soldi vengano investiti in ricerca, nella sanità pubblica, nell’istruzione pubblica, come fanno a Cuba, dove è stato scoperto il primo vaccino terapeutico contro il tumore al polmone. C’è bisogno di un’organizzazione comunista forte, coesa, che dia il coraggio per combattere anche nei territori dove è più alta la paura: c’è bisogno di un Partito così nella nostra Calabria, per combattere a viso aperto contro la mafia, per un impegno che solo una grande passione civile, trasformatrice, densa di futuro rivoluzionario può sostenere ! C’è bisogno dei comunisti per non dimenticare. Non dimenticare il 27 Gennaio 1945. Non dimenticare la lotta per la Liberazione , non dimenticare il sacrificio dei partigiani, non dimenticare le angherie e i crimini del regime fascista. Finché ci sarà un solo comunista in questo Paese non si permetterà mai, mai a nessuno, di revisionare la nostra storia, tanto meno a dei fascistelli di nuova generazione che vorrebbero oscurare la verità portando alla luce falsi storici come le foibe, ridimensionando le efferatezze del regime fascista e infangando la memoria di chi per la nostra libertà ha dato la vita. Vogliamo un Partito comunista ed una sinistra di classe che dicano no al nucleare, no al ponte sullo Stretto, no agli inceneritori e dica si, invece, alle energie rinnovabili, un Partito comunista ed una sinistra di classe che facciano della lotta all’evasione, all’elusione e all’inasprimento fiscale sulle grandi fortune il primo punto in agenda.Concludo, approfittando della presenza dei prestigiosi compagni che sono a questo convegno, chiedendo a tutti i presenti di adoperarsi in ogni modo per la ricostruzione di un più grande Partito comunista, lo chiedo soprattutto ai compagni Oliviero Diliberto e Fosco Giannini che da anni si battono con tutte le loro forze per realizzare questo sogno della nostra gente, dei giovani calabresi, della parte più cosciente dei lavoratori e del nostro popolo.

Pietro Ciardullo

LA NOSTRA STORIA, LE NOSTRE INIZIATIVE. “1921-2011: per la ricostruzione del Partito Comunista”. Cronaca di un convegno



Venerdi 28 gennaio l’Associazione politico-culturale “ Marx XXI ” ha organizzato a Luzzi ( Cosenza), un dibattito pubblico dal titolo “ 1921-2011 – Per la ricostruzione del Partito comunista”. Nella Sala del Consiglio comunale di Luzzi, ancor prima che giungessero tutti i relatori, erano presenti centoventi comunisti cosentini ( in grandissima parte dirigenti e militanti PRC e PdCI), tra i quali moltissimi i giovani. Oltre i relatori “ufficiali” ( Oliviero Diliberto, Fosco Giannini, Michelangelo Tripodi ( segretario regionali PdCI Calabria), Nicola Corbino ( segretario provinciale PRC Cosenza), molti altri sono intervenuti dal pubblico, compreso il sindaco di Luzzi, che ha voluto portare il suo saluto al convegno. Negli interventi dei dirigenti locali è uscito il quadro sociale drammatico calabrese: miseria, sottosviluppo e mafia, una condizione che “ richiede – come ha detto con forza Tripodi – un ritorno forte dei comunisti e della sinistra di classe nella nostra regione”. L’ex senatore “ calabrese” Fosco Giannini ha posto con nettezza la questione dell’unità dei comunisti come prima e necessaria “accumulazione di forze” per l’obiettivo della ricostruzione del Partito comunista. “ Quando poniamo il problema del Partito comunista – ha affermato Giannini – ci vengono poste almeno due grandi obiezioni: la prima relativa alla supposto esaurimento del pensiero comunista, la seconda relativa alla supposta scomparsa del movimento comunista e rivoluzionario nel mondo. Questioni entrambe risibili, false”. “ Il comunismo – ha aggiunto Giannini – è l’insieme di scienza e storia e attualissima è la scienza marxista come grande è la storia concreta e trasformatrice del comunismo. La seconda obiezione – la scomparsa nel mondo del movimento comunista, rivoluzionario, antimperialista – è sconfessata sonoramente dai fatti, da ciò che va accadendo nel mondo, dall’America Latina all’Asia, passando per l’Africa”. “ Antonio Gramsci – ha ricordato Giannini – in un articolo apparso su L’Ordine Nuovo del 13 gennaio 1921 ( pochi giorni prima del 21 gennaio di Livorno), scriveva : La classe operaia italiana sa di non potersi emancipare e di non poter emancipare tutte le altre classi oppresse e sfruttate dal capitalismo nazionale, se non esiste un sistema di forze rivoluzionarie mondiali cospiranti allo stesso fine”. “ Ecco – ha rimarcato Giannini – coloro che oggi vogliono rilanciare un Partito comunista in Italia non sono soli al mondo, non sono visionari, ma sanno di poter contare – a partire dal Venezuela, da Cuba, dal Sud Africa, dalla Cina - su quel sistema di forze rivoluzionarie mondiali cospiranti – come diceva Gramsci – allo stesso fine”.Conclusioni di Oliviero Diliberto. “ Siamo nel buio della Repubblica – ha affermato il segretario nazionale del PdCI. “ Il disegno di schiavizzare il movimento operaio e l’intero mondo del lavoro da parte di Marchionne è esattamente il segno dei tempi. Come il segno dei tempi è l’imbarbarimento e la volgarizzazione del costume politico e morale che proviene da Berlusconi e dal suo marcio sistema di potere. Il senso comune reazionario di massa – così come lo dipingeva Togliatti – è tornato e sostiene un regime. L’attacco violento alla scuola, all’Università non è solo un’azione nefasta e distruttrice in sé; esso è paradigmatico di un volere strategico delle destre e del capitale : spegnere la cultura vuol dire spegnere la critica e l’opposizione, vuol dire spegnere i cervelli. “ Abbiamo bisogno – ha proseguito il segretario del PdCI – di mettere in campo un’alternativa democratica alle destre; un’alternativa democratica vasta che abbia in sé la forza della sinistra di classe e il cuore del Partito comunista”. “ Da anni mi batto – ha proseguito Diliberto – per la ricostruzione, in Italia, di un Partito comunista più grande ( almeno un po’ più grande) dei due partiti comunisti oggi presenti: il PRC e il PdCI. Per questo ho proposto e continuo a proporre l’unità dei due partiti e l’unità dei comunisti. Continuo a proporlo al gruppo dirigente di Rifondazione Comunista, che ancora non ha deciso, nonostante l’unità dei comunisti sia percepita dai più come cosa di buon senso, non come una proposta geniale, ma razionale, giusta, inevitabile. Nonostante tutto, tuttavia, la costruzione del Partito comunista e l’unità dei comunisti è richiesta dall’oggettività delle cose, dalla stessa e vasta sofferenza sociale, dall’attacco durissimo del capitale. Per questo motivo noi vogliamo che il prossimo Congresso sia quello della ricostruzione del Partito comunista: un cantiere aperto a tutti coloro – i comunisti, le comuniste – che vogliono l’unità e il rilancio di un Partito comunista all’altezza dei tempi e dello scontro di classe”.



LUZZI (Cosenza) - 28 gennaio 2011

Fosco Giannini