giovedì 8 dicembre 2011

SuggeriMONTI

Caro Presidente del Consiglio,

come Ella ben sa, la gravissima crisi internazionale nasce negli Stati Uniti nel 2008
dalle grandi banche. Oggi il problema del debito non è solo italiano, ma europeo. Noi
chiediamo alla BCE di fermare gli speculatori acquistando direttamente i titoli pubblici
nazionali, come fanno le banche centrali degli Usa e del Giappone.
Ciò non significa che dobbiamo venir meno al compito di responsabilità nazionale di
mettere ordine ai nostri conti pubblici. Apprendiamo che forse il suo governo
aumenterà l'IVA, toccherà le pensioni e reintrodurrà l'ICI. Misure che potrebbero
valere tra i 20 e i 25 miliardi di Euro, e che colpiranno pesantemente i lavoratori, i
pensionati, i giovani, i precari e i disoccupati. Noi le proponiamo di essere molto
più severo e di varare una manovra da 100 miliardi di euro, senza però mettere le
mani nelle tasche dei lavoratori. Si può fare, ecco come:
patrimoniale da 10 miliardi
per equità chi più ha più deve contribuire
taglio di 30 miliardi ai finanziamenti a fondo perduto alle aziende
perché non si possono regalare soldi alle imprese senza legarli allo sviluppo
rientro dei depositi italiani in Svizzera: 10 miliardi
lo hanno già fatto Gran Bretagna e Germania
recupero dell'evasione fiscale: 40 miliardi
il vero dramma italiano sono gli oltre 200 miliardi di evasione
taglio delle spese militari per 10 miliardi
perché dobbiamo spendere cifre colossali per guerre ed armamenti?
Le proponiamo di usare la metà di questi soldi per risanare i conti e l'altra metà per
creare sviluppo e crescita economica investendo:
20 miliardi in istruzione e ricerca scientifica
20 miliardi per un piano di sviluppo del Sud
10 miliardi a sostegno di: giovani, precari e disoccupati

NOI LAVORATORI, PENSIONATI, PRECARI
E DISOCCUPATI LA CRISI NON LA PAGHIAMO

PARTITO DEI COMUNISTI ITALIANI LUZZI

Blog: Pdci Luzzi – facebook: Comunisti Italiani Luzzi – InfoTesseramenti 3404086972             


sabato 3 dicembre 2011

“IL PDCI SMENTISCE PRESUNTI ACCORDI ELETTORALI”


Nessun accordo elettorale, né tantomeno qualsiasi sorta di patto o promessa di qualsivoglia natura possono essere attribuiti al Partito dei Comunisti Italiani di Luzzi. Con fermezza e serietà, il PdCI locale respinge al mittente le voci che in questi giorni si susseguono circa un accordo già siglato con esponenti politici della precedente amministrazione. Sono privi di ogni fondamento, altresì, le dichiarazioni riportare sulla stampa circa “incontri con forze politiche che sarebbero pronte a sostenere la candidatura di Tedesco” e fra le quali il PdCI risulti la prima (così come riportato dalla nota del cosiddetto “storico gruppo del Pd”). Per quanto si sia solamente avuto un precarissimo incontro interlocutorio e più che altro colloquiale con tali esponenti, il PdCI di Luzzi, infatti, esclude con la massima chiarezza un qualsiasi “appoggio” verso chiunque, visto che non è stato ratificato nessun organo deliberativo, non vi è stato nessun incontro ufficiale che abbia impegnato l’assemblea direttiva piuttosto che siano state prese decisioni unanime che abbiano perlomeno coinvolto il partito ed i suoi iscritti, né tantomeno si è dato vita ad accordi o presunti tali. L’onestà morale ed avanguardistica che contraddistingue il nostro partito - partito che si richiama sopra di tutto agli insegnamenti di Gramsci e Berlinguer, della “via italiana al socialismo” e del “partito nuovo”  di Togliatti - non può permettere che venga tradita con un semplice articolo di stampa. Pertanto il PdCI, sostiene il suo vicesegretario e dirigente Simonvincenzo De Marco, è più che mai aperto ai tavoli politici ed ai costruttivi confronti in vista della prossima tornata elettorale, senza nessuna pregiudiziale di sorta e, in virtù delle ragioni di fondo che ne hanno segnato la nascita nella comunità luzzese, al fine di garantire alla politica odierna locale quell’imprescindibile ricambio generazionale e quei necessari elementi di discontinuità e ringiovanimento. Cosa certa, infine, non può che essere il suo altrettanto chiaro e naturale collocamento politico e sociale, in virtù del fatto che una forza simile per orientamento non può che convergere con quelle forze chiaramente impegnate al fianco della piena attuazione dei principi sanciti dalla Costituzione repubblicana, dalla lotta antifascista, in vista di una democrazia progressiva e diretta i cui cardini non siano altro che la fratellanza, l’uguaglianza, la cultura e la libertà. 

Il PdCI di Luzzi contro il dimensionamento scolastico: il Liceo Classico e l'Istituto d'Arte non si toccano!

Il circolo locale dei Comunisti Italiani,si schiera convintamente contro il dimensionamento scolastico che subirà il paese di Luzzi dal prossimo anno. Luzzi ha un territorio montano e vasto e crediamo che bisogna tutelare il diritto allo studio di ogni ragazzo; la soluzione è quella di continuare con l’istituto omnicomprensivo (già esistente) da potenziare con la direzione didattica, in modo tale da salvaguardare l’autonomia di tutte le scuole ad oggi presenti sul territorio luzzese;poiché non può e non deve essere intaccato nella sua autodeterminazione; le linee guida regionali,precludono la verticalizzazione di nuovi istituti ma mantengono quelli esistenti. Le scuole superiori di Luzzi sono importantissime, poiché da anni fucina di professionisti e uomini di cultura. Queste strutture vanno tutelate e non smembrate per salvare altre scuole ormai cadenti dell’hinterland cosentino. Questi giochi politici a noi non piacciono e chiediamo ad Oliverio un ripensamento in tal senso, in caso contrario ci attiveremo con forme di protesta o sit-in nelle sedi appropriate, anche davanti alla Provincia e il Provveditorato.

martedì 22 novembre 2011

Il Segretario Regionale Michelangelo Tripodi nella Segreteria Nazionale del PdCI. Avrà l'incarico di responsabile del Dipartimento Mezzogiorno.

Unanime e piena soddisfazione è stata espressa dai simpatizzanti, dai militanti e dai dirigenti dei Comunisti Italiani della Calabria per la recentissima elezione del segretario regionale Michelangelo Tripodi nella Segreteria Nazionale del PdCI. 
Infatti, durante lo scorso fine settimana si è tenuta, a Roma, la prima riunione della  Direzione Nazionale del Partito, uscita dal recente 6° Congresso nazionale di Rimini, che ha proceduto all'elezione della nuova Segreteria Nazionale.
Su proposta del leader nazionale Oliviero Diliberto, il segretario calabrese del PdCI Michelangelo Tripodi è entrato a far parte del massimo organismo di direzione politica del Partito dei Comunisti Italiani e, contestualmente, gli è stato assegnato il delicato incarico di responsabile del Dipartimento Mezzogiorno.
Un settore di lavoro, quello del Dipartimento Mezzogiorno, che, oggi più che mai, rappresenta il tema sul quale, nonostante le politiche anti-meridionali portate avanti on questi anni dal passato governo di Berlusconi e Bossi, si giocano il futuro e le reali prospettive di salvezza dell’Italia, che, al di là delle ignobili provocazioni leghiste, senza un Mezzogiorno moderno, produttivo e sviluppato, è destinata al default e al tracollo definitivo.
Nella fase di tremenda crisi che attraversa il nostro paese assumono unmvalore profetico le parole di Antonio Gramsci quando affermava che “il Sud è l’emblema del fallimento del capitalismo italiano”.
E per ripartire bisogna guardare prima di tutto al Sud perché per l’Italia non c’è futuro senza il riscatto del Mezzogiorno.
L’importante incarico assegnato a Michelangelo Tripodi esprime, inoltre, l’inequivocabile attenzione e centralità della Calabria nelle politiche dei Comunisti Italiani ed è il meritato riconoscimento per un dirigente che lavora quotidianamente con intelligenza e assoluta abnegazione per la costruzione di un forte PdCI nell’ambito di un progetto complessivo di ricostruzione del partito comunista e di rinascita della sinistra. Il Segretario,il Vice Segretario,il Tesoriere, l’intero Organo Direttivo e tutti gli iscritti e i simpatizzanti del PdCI di Luzzi si associano all'unanime soddisfazione e si congratulano con il Compagno Tripodi.


Diliberto: "Monti risponde all'Europa dei tecnocrati e delle banche...serve una sinistra forte e che i comunisti tornino in parlamento"

ROMA – Lo sapevate che Romano Prodi insegna economia ai quadri del partito comunista cinese? E che Cina, Giappone e Coree stanno comprando interi pezzi d’Africa anche per mandarvi ad abitare centinaia di migliaia di propri cittadini? Ce lo rivela in questa intervista Oliviero Diliberto, ex ministro della Giustizia nel governo Prodi e rieletto di recente segretario del Partito dei Comunisti Italiani (Pdci).

Berlusconi si è dimesso. Lei ha brindato?

“Ovviamente! Però per ubriacarmi aspetto la fine della legislatura. Infatti, pur nella gioia immensa per l’insperato suo sfratto da palazzo Chigi, il mio è stato un brindisi robusto, ma senza ubriacatura. Berlusconi infatti non è morto, è solo uscito da palazzo Chigi, ma resta ben radicato nel Parlamento. Che userà per condizionare il più possibile il governo Monti, ovviamente non per motivi politici, ma solo per continuare a fare gli interessi delle proprie aziende. A partire da quelle televisive senza le quali chissà dove sarebbe…. Forse già ad Hammamet, anche se lui come è noto preferisce Antigua”.

E ora…

“E ora il problema è chi pagherà il rinnovamento, visto che a quanto pare si vuole non solo evitare il tracollo finanziario dell’Italia, ma anche il suo rinnovamento perfino morale. Staremo a vedere cosa farà Mario Monti”.

Molti dietro Monti e Mario Draghi, al vertice della BCE, vedono le stesse potenti banche che con le privatizzazioni del ’92-’94 hanno lucrato abbondantemente sulla situazione italiana. Faranno un’altra scorpacciata con le nuove privatizzazioni? E poi cosa ci resterà da vendere in caso di bisogno?

“Che in Europa ci siano poteri tecnocratici trasversali agli schieramenti politici è un fatto certo. Rappresentano interessi ben precisi non solo delle grandi banche, ma anche di gruppi finanziari ed economici. Vorrei ricordare quanto ha guadagnato la Pirelli con le privatizzazioni nel settore immobiliare. E tutto ciò giustifica da solo il varo della tassa patrimoniale, che guarda caso Berlusconi non vuole. Lui non ha fatto altro che trasferire sugli strati sociali che non lo votano il peso della tassazione, alleggerendola agli strati sociali del proprio elettorato. In buona parte parassitario e affaristico, come i magistrati ci hanno permesso di scoprire in modo certo”.

Però in definitiva anche Monti predica l’austerità, esattamente come a suo tempo Luigi Berlinguer. Insomma, ancora una volta tempi di vacche magre e da stringere la cinghia.
Che spazi possono avere i comunisti e la sinistra in generale per passare dalle solite “lacrime e sangue” a una nuova epoca di benessere accettabile?

“Beh, Berlinguer lanciò l’austerità per legittimare il Partito Comunista. Oggi però il Partito Democratico, oltretutto ben lungi dall’essere comunista o anche solo socialista, non ha nessun bisogno di legittimarsi, ha infatti espresso perfino l’attuale presidente della Repubblica. Perciò potrà fare la voce grossa ed esigere che a versare le lacrime e il sangue non siano sempre e solo, ancora una volta, i lavoratori e gli strati sociali deboli, ma chi finora il sangue magari lo succhiava agli altri e le lacrime le versava dal ridere. Come per esempio l’imprenditore che rideva felice per gli affari che gli si prospettavano sulla pelle dei terremotati de L’Aquila”.

Lei a fine ottobre al congresso di Rimini è stato rieletto segretario del Partito dei Comunisti Italiani. Che però in parlamento non ha più neppure un rappresentante. Che linea intendete seguire?
“La linea è quella di salvaguardare gli ultimi diritti di massa rimasti in Italia, visto che di tante conquiste – ottenute a suo tempo grazie ai partiti di sinistra e ai grandi sindacati – è rimasto ben poco. Salvaguardare i servizi sociali è già da solo un fatto grandioso. Non sono così ingenuo da credere che possiamo fare i guardiani da soli. Ci vuole una alleanza. Con i partiti e le forze di una sinistra da ricostruire. Noi in Parlamento ci vogliamo tornare, ma come espressione di strati sociali e di lavoratori, non come espressione di noi stessi”.

Se è per questo, Fausto Bertinotti intendeva addirittura rifondare il comunismo. Ma manca un’analisi di classe, come si diceva una volta. Manca cioè il sapere come è composta e come e dove è dislocato oggi l’insieme dei lavoratori, in particolare quella che si usava chiamare la classe operaia, e quali sono gli strati sociali con i quali i lavoratori possono allearsi.

“Concordo. Le varie ristrutturazioni, delocalizzazioni e i vari ridimensionamenti dell’apparto industriale, basti citare i drammatici cambiamenti della Fiat, hanno cambiato tutto, frantumando non solo in fabbrica la vecchia struttura del lavoro e dei lavoratori basata sul contratto a tempo indeterminato. Le grandi fabbriche non esistono più o non sono più tanto grandi o si dislocano e diversificano anche all’estero, come appunto la Fiat di Marchionne. Oggi inoltre la piaga del lavoro precario e non contrattualizzato ha aperto un altro fronte, un’altra realtà che ci ha colto impreparati. Abbiamo però iniziato a studiare di nuovo, per capire come è strutturato oggi il mondo del lavoro e della produzione, quali sono le linee di tendenza, in modo da poter ricominciare il lavoro di creazione di cellule di partito nei luoghi di lavoro e in quelli di socializzazione. Il famoso “territorio”, anche in senso lato, non lo lasceremo certo sempre alla Lega. Oggi il Pdci ha 21 mila iscritti. Pochi, in assoluto, ma non pochi dati i cataclismi che si sono succeduti. Teniamo presente che tra la prima e la seconda guerra mondiale i militanti erano molto meno di quanti ne abbiamo noi oggi. Insomma, non ripartiamo da zero. E abbiamo alle spalle una grande storia, anche se non esente da errori e sconfitte”.

Monti pare avere le mani legate, un percorso delimitato da paletti ben precisi, pare impossibile che possa mettere mano alla riforma elettorale. Senza la quale come farete a tornare in Parlamento?

“Ripeto: politica delle alleanze, da Sel a Di Pietro. Ma, ripeto anche, non per motivi egoistici, cioè solo per tornare in parlamento, ma per fare meglio la nostra parte in difesa dei diritti e magari per il loro allargamento”.

Che futuro vede per i giovani?

“Francamente un futuro molto difficile. I più capaci andranno all’estero, e li capisco. Cos’altro possono fare, data la situazione in cui il ventennio berlusconiano ha ridotto l’Italia? I giovani un futuro in Italia potrebbero averlo, ma rovesciando il paradigma dello sviluppo. Cosa che non si può fare comprimendo i salari e i diritti dei lavoratori, come dimostra il declino della Fiat che pure ci ha tentato con forza e determinazione, e deprimendo la scuola, l’Università e la ricerca. Marco Mancini, persona intelligente, rettore dell’Università di Viterbo e presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI), dalla disperazione ha firmato un protocollo d’intesa con la Confindustria per il dottorato di ricerca prezzo le aziende, quando invece dovrebbe essere il contrario: è la dirigenza aziendale che deve migliorare all’Università la propria formazione. Il dramma è che le Università in Italia sono state ridotte senza un soldo. In Cina stanziano invece cifre mostruose per l’Università e la scuola in generale, promuovendo così la migliore formazione dei giovani e il miglioramento della struttura produttiva. Eppure sono molte le delegazioni cinesi che vengono in Italia per capire e imparare i molti campi, segno che un futuro noi possiamo ancora averlo. Se, ripeto, cambiamo profondamente il modello di sviluppo”.
A proposito di Cina: ci salverà dalla bancarotta?

“Neppure la Cina fa beneficienza, ma stipula accordi che siano vantaggiosi anche per lei. Certamente delle buone relazioni con Pechino possono essere di grande aiuto e contribuire e risolvere i gravi problemi che abbiamo davanti, compreso il rischio di bancarotta a causa del gigantesco debito pubblico. Può sorprenderla, ma un uomo che ci può molto aiutare ad avere buone relazioni con i cinesi è Romano Prodi”.

Romano Prodi?

“Sì, proprio lui, l’ex capo del governo di centro sinistra. Prodi infatti ha un regolare corso a Pechino di lezioni di economia niente di meno che alla scuola quadri del partito comunista cinese”.

Ma no!

“E invece sì! E in Italia fa discorsi sulla Cina di grande intelligenza e apertura, senza nessun pregiudizio. La Cina può essere una grande risorsa. Oltretutto i suo investimenti in Occidente non sono nel settore del lusso, ma della produzione vera e propria, a differenze dei Paesi arabi parassiti delle rendite petrolifere”.

Al congresso del suo partito a Rimini c’era anche una delegazione del partito comunista cinese. La Cina prenderà il posto che una volta era dell’Unione Sovietica? La Città Proibitaprenderà il posto del Cremlino e piazza Tien An Men quello della piazza Rossa?

“Veramente a Rimini le delegazioni estere erano ben 45, compresa quella cinese. No, anche se noi guardiamo alla Cina con grande interesse per vari motivi, non prenderà il posto dell’Urss per almeno due motivi. Il primo è che a differenza dell’Urss non intende egemonizzare né partiti comunisti né Paesi esteri. Il secondo è che l’Unione Sovietica aveva anche un suo blocco di alleanze militari, il Patto di Varsavia contrapposto alla Nato, mentre Pechino non ha nulla di simile. Tant’è che gli Usa ne approfittano continuando ad accerchiarla, nell’evidente tentativo di ripetere con la Cina la stessa politica di “contenimento” applicata a suo tempo con l’Unione Sovietica. Con la scusa dell’11 settembre gli Usa hanno schierato basi in Afganistan e in Paesi sud occidentali rispetto la Cina ex membri dell’Unione Sovietica come il Kazakistan e l’Uzbekistan. Nei giorni scorsi inoltre Obama ha iniziato l’accerchiamento a Oriente della Cina, dislocando militari in Australia e dichiarando che gli Usa sono una potenza affacciata anche sull’oceano Pacifico: dove “Siamo venuti per restarci”, ha chiarito Obama. L’accerchiamento avviene anche per sottrarre all’influenza cinese quasi tutti i Paesi produttori di petrolio, in modo da tentate di frenare se non strangolare il tumultuoso sviluppo economico della Cina, un grande Paese con quasi un miliardo e mezzo di abitanti, ma privo di risorse energetiche”.

“Però in Africa la Cina per avere petrolio stipula accordi con regimi a volte indecenti, ai quali vende armi con grande disinvoltura”.

“Beh, credo che in fatto di vendite di armi e di sostegno a regimi indecenti noi occidentali non siamo in grado di dare lezioni a nessuno. Vogliamo forse dimenticarci che abbiamo colonizzato e sfruttato in modo feroce tre quarti del pianeta, dalle Americhe alla stessa Cina passando per l’Africa, i Paesi arabi, l’India e il sud est asiatico? Il dato interessante invece è che i cinesi, ma anche i giapponesi e i coreani, anziché puntare su un loro colonialismo comprano in Africa giganteschi appezzamenti di terreno, da dissodare e rendere produttivi trasferendoci decine e a volte centinaia di migliaia di propri abitanti che vi costruiscono anche città, nelle quali resteranno come emigranti”.
Questa sì che è una notizia! Può fornirci qualche dato più preciso?

La Corea del Nord ha comprato quasi mezzo Magadascar, che certo non è una piccola isola. A sud del Congo il Giappone sta comprando territori ovunque può. La Cina da parte sua preferisce comprare concessioni minerarie, industriali o nel campo delle infrastrutture. Così sposta centinaia di migliaia di cinesi per metterli al lavoro su tali concessioni, il che comporta che nasceranno città abitate da cinesi che diventeranno cittadini di Stati africani”.

In Italia l’aumento dell’età pensionabile è molto malvisto, in Germania invece si parla senza drammi di andare in pensione a 70 anni nel giro di qualche decennio dato che si prevede che la vita media arriverà presto a 90 anni. E si parla senza drammi anche delle necessità di almeno altri 350 mila immigrati l’anno per poter reggere sia il sistema produttivo che quello pensionistico.

“Non ho tabù. L’età media in Italia è molto aumentata, siamo un Paese di anziani e di vecchi anziché di giovani, e lo Stato sociale anni ’60 non funziona più. L’età pensionabile si può aumentare, ma evitando di continuare a mettere i figli contro i padri, i giovani contro gli anziani, i disoccupati e sottoccupati contro gli occupati, i precari contro i garantiti. I risparmi da innalzamento dell’età pensionabile devono essere investiti in servizi sociali, in modo da alleggerire la condizione della donna, e in occupazione per i giovani. E anziché blaterare contro gli immigrati come la Legadobbiamo riconoscere che anche il nostro sistema produttivo e pensionistico si regge sull’afflusso anche di immigrati oltre che di giovani avviati finalmente a un lavoro decente”.

Soffiano venti di guerra. Da una parte l’isterismo “atomico” contro l’Iran, replay di quello che ha permesso di invadere l’Iraq. Dall’altra la Casa Bianca che, oltre a mettere sempre più piede militare nel Pacifico, punta a una alleanza con l’India in funzione anticinese. Sperando in quella che secondo molti esperti è prima o poi una inevitabile guerra tra India e Cina.

“La guerra è il modo classico con il quale gli Stati e gli imperi hanno risolto le proprie crisi. La guerra permette infatti la repressione interna e il togliersi dai piedi “la teste calde” mandandole a crepare al fronte. Oggi però il fronte non sempre esiste, e le guerre si possono perdere anche a causa del fronte interno, come è successo per esempio agli Usa quando hanno perso la guerra in Vietnam per la ribellione pacifista dei giovani statunitensi. Inoltre oggi le guerre costano molto care e l’Occidente, già in crisi finanziaria, rischierebbe i rifornimenti petroliferi. La guerra Cina-India è inevitabile? Non credo. Di recente l’India ha firmato con la Cina accordi importanti, per la vendita di know how e per altro ancora. Una guerra non conviene a nessuno dei due, checché sperino gli Usa e l’intero Occidente che sulle guerre ha sempre campato e basato il suo sviluppo”.

Torniamo in Italia. Vanno di moda i rottamatori e le facce nuove come quella del sindaco di
Firenze Matteo Renzi.

“Guardi, il dato innovativo non può essere tout court un dato generazionale, altrimenti evviva allora le Minetti. Né si può puntare, come fece Craxi e come fa Berlusconi, sulla coreografia “moderna”, vedi l’arredo della stazione Leopolda del congresso organizzato a Firenze da Renzi, invece che sulle analisi e sulla strategia politica e sociale. Eccetto che per il web, Renzi torna agli anni ’50. In Italia, ma non solo, ci sono anziani e vecchi preziosi, a partire dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e giovani incapaci, vanitosi e chiacchieroni. Una volta si diceva che l’età rende saggi ed è un patrimonio di conoscenze. Oggi i Renzi vogliono sostenere che i giovani sanno tutto, e comunque più dei “vecchi”, senza più bisogno di formarsi e di imparare dall’esperienza. Quella propria e quella altrui”.

mercoledì 9 novembre 2011

Muore Berlusconi, ma il berlusconismo è vivo e vegeto.

Non  mi piace l’euforia di queste ore, questo senso di liberazione che prende tanti per la cosiddetta fine di Berlusconi. Sì, cosiddetta, presunta, perché Berlusconi non è finito. La sua disponibilità a dimettersi offerta a Napolitano è un a mera mossa tattica, intelligente o meno saranno gli avvenimenti dei giorni che verranno a dircelo. Quello che è chiaro è che Silvio Berlusconi non vuole e soprattutto non  può mollare. Se perde il potere perde tutto. Un solo esempio, è bastato che il voto alla Camera sul rendiconto certificasse che non ha più la maggioranza perché le azioni Mediaset subissero un ribasso. Roba forte, milioni di euro volatilizzati. Berlusconi sa che se salta il tappo del potere si liberano forze. Basta una normale ed europea legge che regoli il mercato pubblicitario stabilendo dei tetti alla raccolta degli spot televisivi perché le sue aziende entrino in crisi. Basta una occidentalissima legge sul conflitto di interessi perché il suo impero venga messo in discussione. Basta che il Parlamento fermi le tante leggi ad personam oggi sul tavolo, perché gli interessi suoi, della sua famiglia e delle sue aziende, subiscano un duro colpo. Basta che la magistratura si senta finalmente liberata da pressioni, ricatti, leggi e riforme che incombono come una mannaia sulla sua autonomia, perché inchieste oggi al rallentatore subiscano un colpo di acceleratore. Berlusconi, quindi, combatterà fino alla fine, le studierà tutte, cercherà di recuperare “traditori” e “infedeli”, per non perdere l’unica cosa alla quale tiene come l’aria che respira: il potere. Ma ammesso che l’entusiasmo sia vero, che sia giusto festeggiare, stappare bottiglie e sventolare bandiere come se fossimo nel giorno della Liberazione, ammesso che Berlusconi sia finito davvero e per sempre, un dato è certo. Muore Berlusconi, ma il berlusconismo è vivo e vegeto. Muore, politicamente, s’intende, il Cavaliere nero, ma la battaglia inizia col suo cadavere (politico) ancora caldo. Perché peggio di Berlusconi è il berlusconismo. Quella malattia che dal 1994 (giusto per offrire una data, ma il male ha radici che risalgono agli anni Ottanta del secolo scorso), ha infettato la politica, la cultura, il costume e il modo di essere della società italiana. Come una lue la malattia è entrata in tutti i pori della vita del Paese, dentro la cultura, la società e dentro il corpo e l’anima dei partiti di opposizione. Il cesarismo che sostituisce la democrazia, l’ideologia del successo e dell’apparire a tutti i costi che uccide la solidarietà (chi è povero si deve vergognare dei suoi insuccessi), la comunicazione che ammazza la politica (l’una è allegra e semplificata, l’altra è dura e noiosa), il trasformismo come regola di vita. Per non parlare del fascismo che ritorna, del razzismo diventato linea politica e di governo con un partito come la Lega che ha il ministro dell’Interno. E’ forte il berlusconismo, è un sistema di potere che governa città e regioni, ha suoi uomini che lo rappresentano esaltando – al peggio, ovviamente – le sue caratteristiche e la sua ideologia. E’ un personale politico che non mollerà il potere, che forse si riciclerà sotto altre bandiere (Udc, Terzo Polo finiano, Montezemolo-Della Valle, forse anche Pd e dintorni), ma che ha impregnato di sé istituzioni, democrazia, governi locali. La rivoluzione è lontana, non stiamo assistendo al ripetersi di avvenimenti storici (questa volta la storia si ripete ma sotto forma di farsa), non è la caduta del fascismo: è peggio. Non ci sono eserciti di liberazione e generosi partigiani alle porte, ma gattopardi. Ecco perché non mi piace l’entusiasmo di queste ore. Perché so che la battaglia per liberare il Paese da questa gente sarà lunga e difficile. Richiederà tempo, abnegazione, organizzazione, idee, uomini e donne, giovani e anziani, che si muovono, che scendono in campo sotto bandiere che si chiamano solidarietà, equità sociale, trasparenza, giustizia, rispetto delle regole, democrazia, unità nazionale. Esattamente come fece un uomo solo nel lontano 1994 uccidendo le speranze dell’Italia onesta.


Articolo di Enrico Fierro da http://www.malitalia.it/

mercoledì 2 novembre 2011

Campagna online per l'intitolazione della sezione locale del PdCI di Luzzi. Partecipa anche tu...



A quale di queste personalità vorresti intitolare la Sezione Locale del PdCI di Luzzi?  


Vittorio Arrigoni (attivista umanitario)


Giuseppe Di Vittorio (politico e sindacalista)


Giangiacomo Feltrinelli (editore e ...rivoluzionario)


Jurij Gagarin (cosmonauta ed Aviatore Sovietico)


Nilde Iotti (politico Comunista)


Vladimir Lenin (teorico, politico e rivoluzionario)


Pablo Neruda (poeta)


Pietro Secchia (politico Comunista, antifascista)




VOTA NELLA FINESTRA A DESTRA!

domenica 30 ottobre 2011

Diliberto al Pd: patto su 3 punti!

Unità del centro sinistra, della sinistra e dei comunisti: questo lo schema proposto dal segretario nazionale del Pdci, Oliviero Diliberto, nel suo intervento conclusivo al VI congresso nazionale del partito a Rimini. Diliberto ha ripercorso i temi affrontati venerdì scorso nella relazione introduttiva di fronte ai delegati nazionali. Primo il rapporto con il Pd e la necessità di «un'alleanza democratica delle forze progressiste» per «scacciare i mercanti dal tempio» ovvero per sconfiggere Berlusconi vista l'attuale «crisi del sistema democratico».

Per questo, al partito di Bersani, il segretario del Pdci, offre «un patto di legislatura» basato sulla condivisione di tre punti chiari (lavoro, scuola pubblica e fisco). «In cambio - ha detto - vi consentiremo di governare per cinque anni senza rotture di scatole». 

Secondo, il rapporto con la sinistra e la necessità di uscire dal «nanismo» e di diventare una forza in grado, anche numericamente, di rappresentare le istanze dei lavoratori e dei movimenti. Ecco, dunque, la mano tesa verso Sinistra cologia e libertà per la creazione di un unico soggetto su base federativa. «A Vendola - ha detto Diliberto - chiedo un pò di lungimiranza politica». Terzo, l'auspicio di una riunificazione dei comunisti dentro ad un unico partito. Da questo punto di vista le risposte di Rifondazione Comunista sono «ancora insoddisfacenti».

«La Federazione della sinistra - ha spiegato Diliberto - è un punto di partenza non di arrivo. A me sembra che sia una versione edulcorata e un pò annacquata dell'unione dei comunisti che noi proponiamo. Il segretario del Pdci ha concluso il suo intervento con la lettura di un passo della biografia scritta da Nello Rosselli («martire della Resistenza») dedicata a Carlo Pisacane, eroe del Risorgimento italiano. 

Al termine del discorso i pugni alzati dei delegati riuniti al palacongressi di Rimini hanno accompagnato le note delle canzoni «Bandiera Rossa» e «Bella Ciao».

venerdì 28 ottobre 2011

PdCI, Diliberto: 2008 fu errore catastrofico, ora accordo con Pd

"Noi vogliamo un accordo con il Pd, così come lo vogliamo con tutto il centrosinistra". Lo ha proposto il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, nella sua relazione iniziale al sesto congresso nazionale avviato a Rimini. Questa intesa - in particolare su scuola, lavoro e fisco - deve puntare a trovare un accordo per tornare a governare il paese, perché già nel 2008, quando si fece cadere il Governo Prodi, fu "un errore catastrofico".
"Ritengo che non si debba rifare il catastrofico errore del 2008 quando andando divisi - ha spiegato Diliberto -. Io con molta modestia fui l'unico a dire che non dovevamo dividerci, ma Veltroni e Bertinotti insieme decisero la separazione consensuale" in particolare "Veltroni ha regalato la maggioranza a Berlusconi e Bertinotti ha regalato alla sinistra il 3,1% e siamo rimasti fuori dal Parlamento". Quindi "andammo divisi e perdemmo rovinosamente". Complimenti per il bell'esito! Non rifacciamo gli stessi errori del passato".
Un accordo con il Partito democratico, secondo il segretario del Pdci, non è possibile su tutti i punti, per esempio la proposta di un intervento dell'Italia nella guerra in Libia "sarebbe una cosa assolutamente invotabile". Però "proponiamo di negoziare quanto prima possibile con il centrosinistra alla luce del sole non nelle segrete stanze alcuni punti chiari, senza possibili fraintendimenti futuri; fattibili; che siano comprensibili ai cittadini italiani". In particolare, ha spiegato, su "lavoro e ruolo del pubblico nell'economia", su "scuola pubblica e intera filiera dei saperi" e "fisco". "Noi - ha aggiunto - abbiamo programma dettagliato a disposizione del centrosinistra per la lotta all'evasione fiscale".
"Noi - ha concluso Diliberto - vogliamo partecipare alle primarie del centrosinistra perché rappresentano già un pezzo della campagna elettorale di dopo, danno visibilità e delimitano i confini della coalizione e noi saremmo scellerati a non partecipare. I nostri militanti vogliono partecipare, non ci sottraiamo a un dovere democratico".

DILIBERTO: La sfida è quella di essere un ponte tra le vecchie e le nuove generazioni.

Il legame tra lavoratori vecchi e giovani sarà al centro dell’attenzione del Partito dei Comunisti Italiani, unendo coloro che hanno vissuto la grande storia del PCI alla nuove generazioni, afflitte dal precariato e desiderose di colmare le disuguaglianze sociali.  
Il Partito dei Comunisti Italiani ha superato anni difficili, sono passati  3 anni dall’ultimo Congresso a seguito del disastro elettorale, e oggi conta oltre 20.000 iscritti di cui il 30% sono giovani sotto i 30 anni.
Ha un peso modesto ma non insignificante e intende essere una forza politica che rappresenti il popolo italiano, che ha alzato la testa e ha manifestato il suo dissenso contro i danni del capitalismo e dell’attuale governo.
Il congresso nazionale vuole essere l’occasione per ragionare sul futuro. La situazione è disastrosa ma ci sono dei segnali che danno speranza, in primo luogo i giovani ma anche i movimenti delle donne e dei lavoratori.
Manca in Italia un partito che dia rappresentanza e voce ai movimenti, variegati, ma che hanno bisogno di un progetto comune.
Il Partito dei Comunisti Italiani vuole essere fare sintesi di questi movimenti, vuole riconquistare la fiducia dei lavoratori e tornare a rappresentarli, facendoci percepire come interlocutore  affidabile  e influente:
Il PDCI si pone come obiettivi primari quelli di:
1) contribuire alla sconfitta delle destre in Italia,
2) difendere la costituzione, la democrazia e la divisione dei poteri
3) uguaglianza davanti alla legge
4) cancellare la dilagante corruzione
Il PDCI è consapevole che non ci sono le condizioni per un accordo organico su tutti i punti con il Centro-Sinistra; la via che propone è più seria e praticabile: negoziare quanto prima possibile, con il Centro-Sinistra, alla luce del sole, alcuni temi programmatici che siano chiari, fattibili, comprensibili a tutti i cittadini italiani.
In modo particolare sono 3 le questioni principali su cui puntare:
a) il lavoro e il ruolo del pubblico nell’economia e nei  servizi sociali pubblici,
b) la scuola pubblica e l’intera filiera dei saperi, il rilancio dell’istruzione, i massicci investimenti sulle strutture e sulle docenze
c) il fisco, la lotta all’evasione fiscale, che sta diventando un problema democratico non solo economico, servono misure vere, imposta patrimoniale progressiva.
Il PDCI punta ad una reciproca affidabilità con il centro-sinistra e propone una riunificazione dei partiti di Sinistra in modo particolare con il Partito di Rifondazione Comunista, ma anche trovando punti di congiunzione forti con SEL.
Il PDCI è a disposizione per ricostruire un unico Partito Comunista in Italia. La Federazione della Sinistra funzionerebbe assai meglio con la presenza di un unico partito comunista. Il PDCI è superabile in avanti se altri avranno il coraggio di fare altrettanto.
Il 6° Congresso Nazionale ha il compito di dare nuovo slancio al partito e propone un serio e profondo rinnovamento del gruppo dirigente del partito, a favore dei giovani comunisti che sono cresciuti con il partito, e attento ad interpretare al meglio le nuove necessità dei lavoratori.

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giovedì 27 ottobre 2011

L'intervista de "Il Fatto quotidiano" a Oliviero Diliberto, segretario nazionale del Partito dei Comunisti Italiani - FdS

Diliberto: “Dateci i seggi e voteremo sempre la fiducia”

Congresso del Pdci (nato nel 1998) a Rimini. Il segretario chiede l'apparentamento al centrosinistra e dice: "Alle primarie tra Bersani e Vendola, voterei il secondo. Abbiamo 21mila iscritti, chi è comunista oggi è veramente un santo"

Chiedo a Oliviero Diliberto come si senta a essere il segretario dell’ultimo partito comunista, l’ultimo che porta nel suo simbolo quel che resta delle bandiere del Pci. La battuta sul vetero non me la passa. Sfodera il suo sorriso western (genere su cui ha esercitato la sua penna di saggista) e mi risponde con una battutaccia: “Veramente io sono il primo segretario bionico …”. È successo questo: dopo una brutta caduta, per salvare il ginocchio, Diliberto ha dovuto impiantarsi una protesi al titanio. Ma la battuta la fa perché, nel giorno in cui sbarca a Rimini per il congresso del suo Pdci (nato nel 1998, oggi federato con Rifondazione) scopre che i dati dell’organizzazione parlano di un partito tutt’altro che polveroso: “Dopo tre anni terribili, abbiamo quasi ventunomila iscritti che rinnovano la tessera del partito. Il 30 % sono giovani sotto i trent’anni”. Così si comincia da come si fa politica in cattività dopo due mancati quorum elettorali.

È cambiato il vostro modo di fare politica, nel tempo della quaresima? (Ride) Se è cambiato? Abbiamo campato un anno con 500 mila euro, un terzo di quello che il Pd spende per una campagna di affissione. E questo congresso? Lo facciamo a Rimini, fuori stagione per risparmiare. Ci costa ventimila euro. Tutti i delegati si pagano il viaggio da sé, compreso il sottoscritto. Avete ancora dei funzionari? Ne avevamo otto. Sono tutti in cassa integrazione.Avevate un giornale di partito, Rinascita. L’ho chiuso subito dopo le elezioni. Chi sono questi giovani iscritti al Pdci? Dei santi. Per diventare comunisti a vent’anni, oggi, bisogna essere degli incrollabili ottimisti.

Il segretario Diliberto, oggi, vive facendo il professore di Diritto romano a Cagliari. Mi riempie di gioia. Ho continuato a farlo anche mentre ero deputato e ministro, per passione. Quando Feltri le scrisse che prendeva due stipendi? Già. Peccato che insegnassi gratis! Devo dargli atto, però, che con grande eleganza, mi chiese scusa con un editoriale in prima. Il documento per Rimini è stato approvato con il 99 %, le pare un buon segno? Non faccia lo spiritoso: non è ‘ il mio ’ documento, infatti, ma quello di un gruppo dirigente. Gli ultimi sondaggi cosa dicono? Un dato stupefacente. La federazione è indicata al 2. 7 %. Questo vuol dire che, se si vota con questa legge elettorale, potreste riportare una pattuglia di deputati in Parlamento… Lei lo sa meglio di me. Se il centrosinistra concedesse il suo apparentamento, con questi numeri, tutta la federazione otterrebbe 21 seggi. Grazie al premio di maggioranza che viene diviso anche con il primo partito che non raggiunge il 4 %.

Possono esserci altri accordi, ad esempio a essere ospitato nelle liste del Pd come i radicali per un diritto di tribuna? Ecco, siccome il Corriere della Sera lo ha scritto colgo l’occasione per dire che su questo querelo. Non considererei dignitoso candidarmi sotto nessun simbolo che non sia il nostro. Però lei sa che l’apparentamento a cui lei aspira pone un problema politico. Rifondazione e Pdci possono diventare determinanti per la fiducia, e si rischia un nuovo caso Turigliatto. Ecco, su questo vorrei essere chiaro. Noi in questo congresso riaffermeremo l’obbligo morale di cacciare Berlusconi, battendolo alle elezioni. Anche se questo significasse votare la fiducia al governo? Vede, il 101 % del nostro popolo è d’accordo su questo.

Non è così anche per tutti i vostri alleati di Rifondazione. So che ci sono delle difficoltà in più, nel partito di Ferrero, ma non vedo alternative. Chi si candida deve impegnarsi a sostenere tre punti di programma e a sostenere il governo per cinque anni senza se e senza ma. Mettiamo che si arrivi a quei 21 eletti. Il 40 % sarebbero vostri, il 60 % del resto della federazione, e tutti dovrebbero votare sì a un eventuale governo? Non vedo proprio come potrebbe essere altrimenti. Abbiamo fatto tesoro del passato. Ha letto che secondo Bertinotti, la sinistra non deve far parte di nessuna alleanza di governo? Con tutto il rispetto per Bertinotti, diciamolo oxfordianamente, mi sembra una cazzata sesquipedale. Il partito comunista che state costruendo non è antagonista, come dicono quelli di Rifondazione? I partiti comunisti che conosco io operano nella realtà. Quindi, se ci si allea con il centrosinistra, si vota la fiducia. Punto. Lo dirà così chiaramente? Al congresso lancerò una proposta molto chiara: si lavora per un solo partito comunista, perché averne due è una follia, si lavora per una sinistra unita, perché con Vendola sono tante le cose che ci uniscono, si lavora per una coalizione di centrosinistra, perché questo è l’unico modo per battere Berlusconi. Le pare chiaro?

Come, come? Se ci fossero le primarie lei voterebbe per Vendola? Ma se è la bestia nera di Ferrero! Io personalmente, fra lui e Bersani non avrei dubbi. La Federazione non lo so, non ne abbiamo parlato. Ma penso che l’obiettivo dovrebbe essere federarci con Sel per costruire una sinistra a due cifre. Mi dice tre cose per cui un elettore di sinistra dovrebbe votare voi e non il Pd? Perché stiamo con gli operai, e non con Marchionne. Perché difendiamo la scuola pubblica, e non quella privata come gli ex del Ppi. Perché siamo contro la guerra. Le pare poco?

da Il Fatto Quotidiano del 27 ottobre 2011



mercoledì 26 ottobre 2011

FOSCO GIANNINI INTERVISTA DILIBERTO

LE SFIDE DEL SESTO CONGRESSO DEL PDCI
"La riapertura di un orizzonte socialista passa anche - in modo determinante - attraverso la rimessa in campo del soggetto politico e sociale che più di ogni altro vuole riaprire tale orizzonte: il partito comunista, un partito con legami e linea di massa"


Fosco Giannini - Siamo di fronte ad una delle crisi più profonde della storia del capitalismo. Rispetto ad altre crisi rilevanti non si colgono, in questa fase, i segni di una risposta, in grado di riaprire i mercati interni e rilanciare offerta e domanda. Aumentano piuttosto, e su scala planetaria, i processi di spoliazione dei popoli, mentre prende sempre più consistenza il pericolo di una guerra su vasta scala (o la moltiplicazione di guerre “territoriali”) come uniche e storicamente non nuove risposte alla crisi di sistema. L’Italia non sfugge certo a tale tendenza di fase: l’attacco contro il lavoro, contro lo stato sociale, contro la democrazia, la stessa pulsione alla guerra e al riarmo segnano profondamente le politiche del governo Berlusconi, ampliando sempre più il disagio e la stessa “inquietudine” sociale. Siamo, cioè, di fronte a un livello così alto della crisi, che la risposta tattica e di fase – benché necessaria e imprescindibile – non può dividersi da un progetto, da un disegno strategico dei comunisti e della sinistra di classe e di alternativa. Concordi? Ed eventualmente: qual è la risposta tattica, di fase, del “qui e ora”, in Italia, delle forze comuniste e di sinistra? E qual è il progetto strategico che occorre definire in questa fase, a cui dare corpo, di fronte alla crisi del modello capitalistico?


Oliviero Diliberto - L’impressione è che siamo davvero, con ogni probabilità, di fronte alla più grave crisi nella storia del capitalismo, anche perché, rispetto alle altre crisi tradizionali, che erano sostanzialmente crisi di sovrapproduzione, qui siamo di fronte ad una crisi sistemica dal punto di vista del capitale finanziario. Il paradosso di fronte al quale siamo è che le grandi banche hanno creato artificialmente un mercato parallelo a quello tradizionale, che è il mercato dei cosiddetti titoli tossici, scambiandoseli tra loro e facendoli acquistare agli stati e ai privati cittadini. Questi titoli tossici non esigibili hanno creato la crisi del sistema bancario mondiale. Molti stati, tra cui l’Italia (anche se in misura minore), ma sicuramente gli Stati Uniti d’America, per salvare le banche dalla crisi che esse stesse avevano creato, hanno investito ingenti risorse pubbliche nel sistema bancario. Nel momento in cui questi soldi venivano investiti, da qualche altra parte andavano tolti e sono stati tolti: sono stati sottratti allo stato sociale che, come tutti sappiamo, è salario indiretto dei lavoratori, così come sono stati tolti al sistema pensionistico, che, come è altrettanto noto, è salario differito. Le misure che sono state prese, largamente imposte dalla BCE e dal FMI, dimostrano una cosa agghiacciante, di cui si parla secondo me poco, almeno non a sufficienza, rispetto al pericolo: il fatto è che il sistema economico capitalistico ha sostituito le democrazie rappresentative, anche le forme di democrazia borghese, e questo rappresenta un vulnus, una ferita gravissima a tutti i principi fondativi, da Montesquieu in avanti. Quindi, come vedi, non sto parlando di comunismo, ma del sistema liberale tradizionale, che è saltato. E questo in Italia ha un’accentuazione, perché il nostro sistema politico istituzionale è saltato ancor prima della crisi economica. Molto schematicamente: il parlamento ha iniziato ad essere sotto attacco sin dai primi anni 90, perché non è vero che la crisi del sistema rappresentativo deriva dal porcellum. La crisi del sistema rappresentativo italiano e della centralità del parlamento nasce con la fine del sistema elettorale proporzionale. La teoria della centralità del parlamento si fonda sulla circostanza che esso rappresenta la società e la rappresenta nella misura in cui proporzionalmente tutte le forze politiche, sociali, culturali, le religioni, nella proporzione esatta in cui sono nella società, si riproducono nel parlamento. In questo modo esso è contemporaneamente luogo di mediazione politica, ma anche luogo di conflitto. Nel momento in cui si è passati al maggioritario, si è abbastanza rapida - mente tornati a un sistema notabilare. Non è vero che i collegi elettorali diano al popolo la possibilità di scegliere i propri rappresentanti, perché il popolo viene messo di fronte alla scelta, operata da coalizioni, di personaggi anch’essi scelti dall’alto, inevitabilmente spesso lontani dal rappresentare gli interessi popolari. La crisi dei partiti di massa ha poi determinato una crisi ancora più grave, che è quella della costruzione dei gruppi dirigenti e delle rappresentanze istituzionali. Se ci facciamo caso – a me è capitato di fare questa indagine qualche anno addietro - la composizione sociale del parlamento è profondamente mutata rispetto agli anni della cosiddetta “prima repubblica”. Sono completamente spariti i lavoratori dipendenti, il lavoro salariato, perché, nel momento in cui bisogna fare uomo contro uomo, o donna contro donna, nella rappresentatività evocativa, non reale, chi viene scelto? Viene scelto il notaio, l’attore, il cantante, il professionista di grido, cioè persone che già fanno parte della classe dirigente, espungendo totalmente le persone “normali”, tanto più il lavoro dipendente salariato tradizionale. Quindi in Italia c’è un’aggravante pregressa. Col porcellum si è arrivati infine al parlamento dei nominati e quindi allo stravolgimento della democrazia. A questo bisogna aggiungere che il parlamento non svolge più una funzione legislativa tradizionale, che è stata sostituita dal governo. Il 97% dei provvedimenti approvati nei primi tre anni di questa legislatura sono di provenienza governativa, cioè non sono leggi che nascono in parlamento, in quello che dovrebbe essere il potere legislativo. Quindi l’esecutivo ha sostituito il legislativo. Il terzo potere dello stato, la magistratura, stando sempre alla visione tradizionale di Montesquieu, è sotto attacco continuo, sotto delegittimazione continua di uno dei medesimi poteri dello stato, cioè l’esecutivo. Tutto questo ha minato alla radice gli equilibri costituzionali costruiti faticosamente nei primi quarant’anni di vita repubblicana e l’impatto della crisi economica ha creato una miscela esplosiva di debolezza delle istituzioni e contemporaneamente di grave crisi economica. La debolezza delle istituzioni nasce anche da una sorta di cortocircuito con il sistema informativo in Italia. Mentre tutti i paesi del mondo, anche quelli governati dalla destra, si pongono il problema di quali misure adottare per uscire dalla crisi, il sistema informativo italiano nel suo complesso è passato da Noemi Letizia a Ruby rubacuori e alle intercettazioni odierne. Non è un giudizio moralistico, non me ne può importare di meno. Dico che mentre in Germania, amministrata dalla destra, con delle politiche economiche peraltro anche concertate con il sindacato, e anche con il sindacato di classe come la IG-Metall, sono usciti o stanno uscendo dalla crisi rafforzati, qui in Italia non c’è il barlume di una manovra in grado se non altro di salvare il salvabile. Faccio degli esempi. La manovra economica odierna è stata descritta dalla stessa Confindustria come depressiva. Lo è, ma è una depressione che colpisce innanzitutto le fasce deboli. E tutte le misure, a iniziare dall’aumento dell’IVA, sono devastanti, proprio perché da un lato impoveriscono e dall’altro, nell’impoverimento, indeboliscono la do manda interna: il risultato è la restrizione dei mercati interni, un disastro al quale si aggiunge – per il capitalismo italiano – l’estrema difficoltà nella competizione internazionale, in virtù della natura “nanocapitalistica” del capitalismo nostrano e per il fatto che esso non sceglie la strada dell’innovazione tecnologica e degli investimenti per la produzione d’avanguardia, ma solo la strada della ricerca del saggio di profitto attraverso un sempre maggiore sfruttamento sul lavoro. Sul fronte delle esportazioni, ad esempio, noi in Italia non abbiamo più un brevetto innovativo e dunque anche per questo non siamo competitivi sul fronte internazionale. In Germania la grande operazione che è stata fatta è un gigantesco investimento nel settore della cultura, della scuola, dell’università, perché è l’unico modo di essere competitivi a livello planetario. La risposta che c’è stata in Italia alla manovra economica - ripeto ingiusta e contemporaneamente inadeguata - è stata per fortuna quella della CGIL. Ma la CGIL non ha più una sponda politica. È dunque venuta meno l’opposizione sociale e politica. I continui appelli all’unità nazionale per varare rapidamente la manovra economica li ho trovati sconcertanti. Il nostro ruolo – per rispondere anche ad una delle due domande – secondo me ha, dovrebbe avere, diverse facce. La prima è un’opposizione sociale radicale. Uso volutamente questo termine, perché viene spesso abusato nei nostri confronti: “la sinistra radicale”. Noi non siamo “sinistra radicale”, noi siamo comunisti, è una cosa diversa. Ma la risposta di opposizione non può che essere radicale; intelligentemente, perché è ovvio che c’è un profilo di difesa delle istituzioni che va costruito in un sistema di alleanze con tutte le forze democratiche. Ma dobbiamo lavorare per essere all’altezza di questo compito, essere catalizzatori o comunque parte fondamentale del movimento di massa contro questa manovra, contro l’attacco governativo, padronale e dell’Unione europea. Secondo. Costruire intorno ai comunisti proprio quel punto di riferimento sociale, politico e istituzionale che è completamente mancato per la CGIL. La CGIL fa il suo mestiere, con alti e bassi, per carità, fa il sindacato, che è un’altra cosa, e quindi il sindacato deve anche trattare col governo, qualunque esso sia, come tratta coi padroni. Ma se il sindacato non ha in parlamento un punto di riferimento chiaro, che ne sostenga le lotte sul piano istituzionale, è destinato ad essere perdente nel medio periodo. E se non ha un punto di riferimento sociale, anche la sua battaglia nelle piazze è destinata a indebolirsi. Per cui costruire una sinistra che sia in grado di fornire una sponda politica e sociale al sindacato – in questo caso il sindacato CGIL ovviamente, visto che CISL e UIL hanno scelto una linea collaborativa con Berlusconi - è uno degli obiettivi di medio periodo che noi ci dobbiamo dare. Sulle questioni principali la Federazione della sinistra - cioè noi, Rifondazione e gli altri -, Sel, ma persino Di Pietro, che si è schierato con la FIOM contro Marchionne, possono essere un punto di riferimento più largo, e dunque più forte - perché i rapporti di forza contano, eccome! - per provare a costruire quel blocco di sponda verso la CGIL. Questo sistema di alleanze di sinistra poi deve dialogare con tutti, nel tentativo di sconfiggere la destra e riportare ad un equilibrio istituzionalmente accettabile questo nostro disgraziato paese. Senza pasticci! aggiungo io. Dentro il Pd c’è un dibattito, un dibattito vero, tra linee e anime diverse. C’è chi vuole un’alleanza con la parte conservatrice, cioè con l’UDC, che non è moderata, è conservatrice, e chi vuole l’alleanza a sinistra. Non possiamo essere inerti di fronte a questo dibattito; non possiamo rimanere indifferenti rispetto alla discussione che c’è dentro il Pd. Per costruire le condizioni per fare un accordo col Pd dobbiamo metterci del nostro, nel senso che, sapendo che non siamo in grado di avere un accordo su tutti i punti programmatici – ne cito uno, enorme: sulla guerra non potremmo essere d’accordo, com’è ovvio – tuttavia possiamo costruire un programma minimo su alcuni punti fondamentali, con cui fare un accordo alla luce del sole, di fronte agli elettori e alle elettrici. Ciò è indispensabile. Ci sono le condizioni perché - per lo meno con la segreteria Bersani, che ha un’impostazione diciamo di tipo socialdemocratico - si stringa un accordo sul tema delle condizioni materiali di vita dei lavoratori - penso al precariato -, sulla scuola pubblica, su una politica fiscale seria, equa, che faccia pagare le tasse agli evasori. Credo che questi due sistemi di alleanze, a sinistra e nel centro-sinistra, siano indispensabili anche per porre le basi per costruire un partito comunista. Dunque, per non eludere le tue domande: sul piano della fase contingente è del tutto evidente che il nostro compito è quello di essere protagonisti della lotta di liberazione contro questo marcio regime berlusconiano, che dopo vent’anni ha intossicato il Paese e ha corrotto una parte importante del senso comune di massa; si è ramificato come un tumore all’interno delle istituzioni e in ogni ganglio del complessivo sistema di potere italiano, prendendo pieno possesso – tra l’altro – del maggior terreno, oggi, dell’organizzazione del consenso di massa: i media. Di questo regime dobbiamo liberarci, riconsegnando un respiro al Paese e al nostro popolo. Il livello di corruzione e di avvelenamento dell’intero sistema democratico, sociale e istituzionale operato dal regime berlusconiano è probabilmente sottovalutato anche a sinistra. Essere protagonisti della lotta contro questa destra per molti versi inquietante è – per i comunisti – non solo cosa giusta in sé, ma – dialetticamente – essa è funzionale, decisiva, per l’accumulazione di forze comuniste, per la ricostruzione dei suoi legami di massa, per la riconquista di un ruolo nazionale, per la ricostruzione – dunque – dello stesso Partito comunista, obiettivo che è il cuore della nostra discussione congressuale. Ed è del tutto evidente che tra questo obiettivo di fase e la questione strategica che ponevi vi è un legame: la riproposizione, infatti, di un progetto di trasformazione sociale che getti le basi per la riapertura di un orizzonte socialista passa anche – in modo determinante – attraver- so la rimessa in campo del soggetto politico e sociale che più di ogni altro vuole riaprire tale orizzonte: il partito comunista, un partito con legami e linea di massa, obiettivi tutti da conquistare.

Fosco Giannini - Tra il quattro e il cinque dello scorso agosto il presidente della Banca centrale europea Trichet, assieme al futuro presidente, Draghi, invia una “lettera di intenti” al governo italiano, imponendo, di fatto, quella politica, quella manovra di lacrime e sangue firmata poi dal ministro Tremonti. La “lettera d’intenti” si è rivelata in verità un vero e proprio diktat e l’azione della Bce un’azione sempre più chiaramente volta ad esautorare il governo e il Parlamento italiani. Stessa sorte, peraltro, è toccata a gran parte degli altri governi e stati europei. Mai come in questa fase – insomma – l’Unione europea ha dimostrato il proprio carattere di potere antipopolare e iperliberista sovranazionale, tendente a sovraordinare le politiche dei governi europei, a sovraordinare le scelte contingenti degli stati e a decidere il futuro dei popoli. Quale dev’essere, alla luce della dura realtà delle cose, la posizione dei comunisti rispetto a questa Unione europea?

Oliviero Diliberto - È del tutto evidente che la scomparsa dell’Urss e l’unificazione della Germania hanno imposto un’accelerazione decisiva nel processo di integrazione europea e insieme a tale accelerazione hanno imposto una natura politica liberista e conservatrice alla Ue. L’asse francotedesco ha dettato i principi monetaristi della Bundesbank, poi tutti assunti nel Trattato di Maastricht. L’Unione europea che ne deriva si sposta sempre più a destra e offre al grande capitale gli strumenti per un attacco di vaste proporzioni contro l’intero mondo del lavoro europeo. Questa Ue che vuol pensarsi come un nuovo polo economico per la conquista dei mercati internazionali, crede di aver bisogno – per svolgere tale ruolo, per essere competitiva – di abbattere il costo delle merci attraverso la via iperliberista classica: abbattimento dei salari, dei diritti e dello stato sociale. Va notato come, a mano a mano che si acutizza la crisi capitalistica mondiale, l’Ue acceleri e acutizzi i propri processi e progetti liberisti: la Bce tende a costituirsi sempre più come potere sovranazionale in grado di sovraordinare le politiche e le scelte dei governi europei (è ciò che è accaduto al governo e al parlamento italiani, espropriati dalla lettera di Trichet e Draghi, della loro autonomia e dei loro poteri), sino al punto di dettare la qualità e l’entità di una manovra economica. Questa Ue distrugge il welfare che proprio in Europa si era storicamente costituito; individua nel lavoro il soggetto che massimamente deve sacrificarsi per far sì che essa possa presentarsi sul piano della concorrenza internazionale come un sog getto vincente. Non è questa la Ue che serve ai la voratori e ai popoli d’Europa. Contro questa Ue serve il massimo di mobilitazione e di lotta, che deve vedere i comunisti in prima fila.
Fosco Giannini - L’Unione europea delinea e fa mettere in campo una politica di spoliazione dei popoli che produce le stesse sofferenze di massa da Atene a Lisbona, passando – per così dire - da Roma, Parigi e Londra. Siamo di fronte ad un attacco antipolare scientemente condotto dall’unità del capitale transnazionale europeo, che trova il proprio braccio politico ed economico nello spirito di Maastricht e nelle linee della Bce.

Fosco Giannini - Rispetto a ciò, non è forse ora che a questo disegno antipopolare di carattere unitario e sovranazionale, i popoli, il movimento operaio complessivo europeo rispondano con un lotta dallo stesso carattere sovranazionale? Non è ora che i comunisti e le forze della sinistra inizino a pensare a un progetto di lotta in grado di unire i lavoratori greci con quelli italiani, francesi, portoghesi? Non è ora che si apra una riflessione su una loro unità d’azione su scala continentale?

Oliviero Diliberto - L’internazionalismo deve essere, come è sempre stato nella cultura e nella prassi dei comunisti, un nostro cardine. È del tutto evidente che siamo di fronte ad uno scarto vistoso tra i processi di unificazione transnazionale del capitale europeo, tra i suoi progetti di lotta su scala continentale e la capacità del movimento operaio dell’Ue di rispondere a tale livello. Il problema dell’unità del mondo del lavoro, delle sue lotte su scala europea, per rispondere in modo unitario e più incisivo agli attacchi della BCE e di Maatricht, si pone come uno dei problemi fondamentali per l’oggi e per il domani, e sempre più a mano a mano che si consoliderà l’Ue e rimarranno tali le sue politiche antisociali. Maggiore sarà la forza nazionale delle organizzazioni comuniste e di sinistra, maggiore sarà la loro possibilità di estendere, in modo unitario, la loro lotta su scala continentale. Anche per questo motivo, decisivo è il rilancio, la ricostruzione del Partito comunista in Italia. Questa Ue va profondamente, radicalmente cambiata e senza un lungo ciclo di lotte sociali non sarà possibile. Ed è chiaro che questa esigenza, questo progetto di lotta che parte dalle aree nazionali per estendersi in modo unitario sul più vasto terreno europeo, chiama in campo non solo i comunisti e la sinistra, ma lo stesso movimento sindacale. Anch’esso deve porsi il problema della Ue, della sua intera area, come nuovo terreno di lotta.

Fosco Giannini - L’aggressione imperialista contro la Libia è stata condotta dalla Nato, dai paesi ad essa subordinati – compresa l’Italia – con una ferocia, con una platealità di intenti, con una determinazione che sembrano segnare persino una nuova fase dell’aggressività imperialista, nel senso che gli obiettivi reali non vengono più nemmeno mascherati o nascosti. Rispetto a tanta chiara determinazione della Nato, della Francia, dell’Inghilterra, degli Usa; rispetto ai massacri perpetrati a Tripoli e in tanta parte dei territori libici; rispetto al fatto che anche la stampa borghese italiana sempre più chiaramente ha parlato di “guerra per il petrolio”, non si è sollevato nel nostro Paese un minimo movimento di massa contro la guerra. Come spieghi questa drammatica carenza, questo silenzio? E cosa occorre fare per invertite la rotta?

Oliviero Diliberto - Il poderoso tentativo di rimozione della categoria dell’imperialismo – portato avanti in tanta parte della sinistra italiana e che ha avuto come prodotto la dismissione di una prassi antimperialista - non aiuta certamente a decodificare la natura aggressiva, spoliatrice, delle guerre degli Usa, della NATO e dei paesi capitalisti. Il caso della guerra contro la Libia è significativo, persino paradigmatico: l’orrore di questa guerra, la determinazione e la ferocia neocolonialista del governo francese, inglese e dell’intera Alleanza non è stata colta e percepita. Ho sentito, anche a sinistra, ragionamenti fuorvianti, secondo i quali schierarsi contro la guerra avrebbe significato “essere dalla parte del dittatore Gheddafi”. È chiaro che questa argomentazione è il segnale probante di quanto il senso ultimo dell’attacco contro la Libia (la riconquista del petrolio) non sia stato compreso. È vero: vi è stato uno scarto drammatico tra la guerra e il fondamentale silenzio del movimento contro la guerra. E certo occorre mettere a fuoco anche le responsabilità, in questo, dei comunisti e delle forze di sinistra, non più in campo come un tempo. Non c’è dubbio, da questo punto di vista, che, anche in relazione al progetto di ricostruzione del Partito comunista, l’obiettivo di rimettere in campo un vasto movimento contro le guerre, contro le spese militari, contro la Nato, deve divenire uno dei nostri compiti prioritari.

Fosco Giannini - A fine ottobre si svolgerà a Rimini il VI Congresso del PdCI, il Partito di cui sei il segretario. La parola d’ordine sarà “Ricostruire il partito comunista”. Cosa vuol dire, oggi, tale parola d’ordine? Attraverso quali percorsi pensi si debba giungere ad un obiettivo politicamente e socialmente ambizioso come questo? Quali sono i nodi politici centrali che occorre affrontare per dar vita al progetto? Quali nodi teorici vanno sciolti affinché “la ricostruzione” possa giungere a mettere in campo un partito comunista all’altezza dei compiti attuali e dell’attuale scontro di classe? Come accumulare le forze comuniste attorno alla parola d’ordine congressuale? Come convincere il PRC al progetto unitario? Come attrarre al progetto la diaspora comunista italiana, quella stessa che dopo lo scioglimento del PCI e il fallimento del progetto della “rifondazione comunista”, non trova più la propria organizzazione, il proprio partito comunista?

Oliviero Diliberto - Noi siamo alla vigilia del congresso. La nostra linea è ormai nota. È la stessa da tre anni a questa parte. Grazie anche a questa linea il partito si è rafforzato, e tante compagne e tanti compagni sono tornati e sono venuti con noi. È la linea della ricostruzione di un unico partito comunista, diciamo il meno piccolo possibile, per non dire grande. È un’offerta che noi facciamo com’è ovvio innanzitutto al PRC, che va a congresso anch’esso. Quindi, quale occasione migliore se ci fosse una comune volontà? Ad oggi le risposte non sono state soddisfacenti. Siamo riusciti a costruire con molte contraddizioni un’alleanza federativa che si chiama Federazione della sinistra. Per noi è un passaggio, non è un punto di arrivo. Noi continuiamo a pensare che, pur con differenze di cultura politica, che ci sono, si possa stare tutti quanti dentro un unico partito comunista. Perché ricostruire il Partito comunista? Semplicemente perché quelli che ci sono non hanno ancora la forza sufficiente e perché è la stessa oggettività delle cose (l’attacco durissimo del capitale contro il mondo del lavoro e la democrazia, la crisi sistemica degli assetti capitalistici) a richiederlo. È la stessa solitudine dei lavoratori a richiederlo. Con quali passaggi si arriva ad un unico Partito comunista? Il primo, naturalmente, è che il PRC si convinca che non vi sono alternative all’unità. Ed è per questo che continua e si innalza – anche nel nostro Documento congressuale – la nostra offensiva unitaria. Ma l’unità si costruisce anche dal basso, nell’unità dei comunisti, nelle lotte, contro le guerre, a fianco dei lavoratori, contro la manovra economica. E si costruisce abbandonando le diffidenze reciproche, mettendo al primo posto l’esigenza di accumulare forze, a partire da quelle che abbiamo, per essere credibili nella lotta, per essere credibili agli occhi dei lavoratori. Ricostruire il partito comunista vuol dire anche ripensare ai tanti errori commessi, dall’una e dall’altra parte: i momenti di subordinazione istituzionale, le assenze nei movimenti di lotta, l’eclettismo culturale, il mancato radicamento nei luoghi di lavoro e nei territori. Vuol dire recuperare il meglio della cultura e della prassi del movimento comunista del ‘900 (le lotte di massa, lo spirito rivoluzionario, la capacità di esprimere una linea di massa ed un ruolo nazionale, il rapporto con i movimenti di lotta, il legame col movimento comunista e antimperialista mondiale, l’internazionalismo) e non ripetere gli errori (a cominciare dalla fascinazione di continue nuove vie, quasi sempre cavalli di troia per il superamento, in varie direzioni, dei partiti comunisti). Noi lo scriviamo chiaramente nel nostro Documento congressuale: “Siamo ancora qui perché abbiamo scelto l’unità come cifra della nostra resistenza e sconfitto liquidazionismi, settarismi ed estremismi. Abbiamo dimostrato che il nostro Partito non si può annettere o disgregare. Con questo Congresso scegliamo autonomamente di essere “su perabili” e, pertanto, ci mettiamo a disposizione della ricostruzione di un nuovo e più forte partito comunista, a partire dall’unificazione con il Partito della Rifondazione Comunista. E proponiamo alla Federazione della Sinistra di mettersi essa stessa a disposizione della costruzione di un più ampio processo unitario di tutta la sinistra. Perché, sconfitto Berlusconi, il modello Marchionne rimane. C’è bisogno dei comunisti e della sinistra per ridare centralità al lavoro, sconfiggere la precarietà e restituire valore a salari, stipendi e pensioni. E solo una sinistra unita sulle cose da fare potrà proporre con successo un modello di società più giusta e conseguire dei risultati concreti. È così, è molto chiaro e lo ripeto.


(L'intervista è pubblicata nel numero in corso di distribuzione della rivista MarxVentuno)