di ERMAN DOVIS, Comitato Centrale PdCI (tratto da http://www.marx21.it/index.php)
La crisi sistemica del capitalismo avanza con la sua carica
distruttiva, sconvolgendo la vita quotidiana di milioni di esseri umani. Mentre
crescono a dismisura i profitti delle grandi corporazioni di un migliaio di
grandi famiglie monopoliste (Elkann / Krupp / Benetton / Rockefeller e soci) ,
si procede alla colossale distruzione di forze produttive, si fomentano nuovi
conflitti scatenando criminali guerre d’aggressione, aumentano in numero
spaventoso disoccupati e cassintegrati . L’esistenza di tutti diviene
insopportabile. Questo sconvolgimento sociale, politico ed umano sembra
riflettersi anche nei pensieri generali e nelle analisi che leggiamo. C’è
chi dice che tutto nasce per colpa della finanza cattiva, chi invece cerca di
sostenere che “abbiamo vissuto al di sopra delle possibilità”, chi se la prende
con la corruzione e la casta, mentre altri puntano il dito contro non meglio
precisati poteri forti ed oscuri, quasi demoniaci.
Nondimeno, le soluzioni che si propongono rischiano di
aumentare la confusione imperante: in risposta all’evidente processo di
dismissione industriale del paese, in tanti invocano l’intervento straniero e
salvifico, e c’è persino chi addirittura sostiene la riconversione industriale
della più grande acciaieria d’Europa in un immenso villaggio turistico.
Immancabili alternativi teorizzano la decrescita.
E’ un chiacchiericcio diffuso, insistente, invasivo, soprattutto inutile e
inconcludente . Ma è ovvio: l’assenza della classe operaia dal dibattito
politico determina una confusione generale, che si rivela ancor più tale nel
momento in cui si lascia intendere che la crescita ed il rafforzamento di una
forza comunista dipenda dall’intransigenza nel rifiutare alleanze, da strategie
o tattiche elettorali spregiudicate. E’ invece un passaggio secondario.
Le misure assunte dall’esecutivo Monti, riflettono una drammatica condizione
che vede governi e istituzioni completamente asserviti al potere diretto delle
formazioni monopolistiche, le quali da tempo hanno ormai assunto una veste
multinazionale, intrecciando i loro interessi in settori diversissimi e non
necessariamente merceologici.
Oggi il modo di produzione capitalistico è di carattere monopolistico/finanziario,
e l’attuale fase mostra senza possibilità di smentita una condizione di
sussunzione dello stato al potere monopolistico, che arriva fino ai livelli più
intimi delle istituzioni, fin nei più piccoli comuni, e che mostra la ferocia
con cui i poteri economici procedono nelle loro requisizioni. Un’azione
capillare, che mostra lo stato italiano divenire mercenario per conto dei
grandi miliardari privati (i Marò in India a guardia di tesori privati di
chissà chi) , che concepisce la costruzione della linea ferroviaria superveloce
come rispondente esclusivamente agli interessi dei Montezemolo &C. in
quanto tocca esclusivamente le città del business del centro nord. Il resto
delle ferrovie italiane è lasciato morire, con le tratte che vengono
costantemente cancellate. Le banche locali ancora estranee ai grandi gruppi
finanziari, vengono commissariate da Bankitalia con il pretesto di qualche
scandalismo, per essere consegnate successivamente ai colossi economici
internazionali. Lo Stato scompare nell’impresa monopolistica, divenendo un
semplice elemento della produzione.
In questa condizione, il disagio generale investe strati sempre più larghi di
produttori, alle dipendenze più o meno dirette dei monopoli. Il ceto medio non
esiste più, è ormai solo retorica per creare una finta coscienza corporativa.
La piccola, media , e buona parte della grande borghesia sono indipendenti solo
a parole, perché il ricatto economico imposto dai monopoli rendono queste fasce
dipendenti direttamente dalle decisioni dei gruppi finanziari. Il monopolismo
rastrella ferocemente capitale a qualunque costo: si pensi ad esempio alla
rapina di denaro posseduto in banca (in ogni sua forma), la messa a pagamento
di debiti insolvibili, il fallimento e la requisizione dei beni di queste
classi. Possiamo tranquillamente definire la borghesia una classe ipotecata, e
il disagio del presidente di Confindustria Squinzi, più volte palesato, non può
non essere oggetto della nostra attenzione, perché in caso contrario saremmo
stupidamente schematici. Non dimentichiamoci che l’elezione stessa di Squinzi
venne ostacolata in ogni maniera dalla Fiat, da Montezemolo, dai predoni
dell’alta borghesia monopolista. Inoltre, se guardiamo alle vicende politiche
di questi giorni in prospettiva elettorale, ci sono forze che da tutte le parti
spingono per un proseguimento del governo Monti, con o senza Monti,
accentuandone il carattere plebiscitario: Grillo, Renzi, gli attacchi a
Bersani, le continue dichiarazioni di Montezemolo ed il ritorno di Berlusconi.
Si cerca di impedire la vittoria del centro-sinistra, ovviamente non perché
questa coalizione possa inaugurare la rivoluzione dei soviet , ma piuttosto
perché in questa fase di crisi putrescente del capitalismo, i monopoli, preso
direttamente in mano il potere e le istituzioni, non intendono delegare più
come in passato. Farlo sarebbe una perdita di tempo no? Ed in questo momento
non se lo possono permettere. Dunque, pur con la dovuta attenzione, non
dobbiamo buttarla in malora con semplificazioni sciocche del tipo “ centrosinistra
e centrodestra pari sono”, cosi’ come del resto in Usa non sono la stessa cosa
Romney e Obama.
C’è un dato da aggiungere che è emblematico: alla incredibile massa di denaro
accumulato dai monopoli non si somma una reale crescita produttiva. Non si
investe cioè nel manifatturiero, o meglio, si investe molto meno proprio per il
carattere multinazionale e non specificatamente merceologico che hanno assunto
i gruppi monopolistici. L’impoverimento delle masse, il cui potere d’acquisto
viene costantemente eroso in favore del profitto, determina una incapacità di
assorbire i prodotti immessi sul mercato, e quindi si riduce la produzione di
beni di prima necessità in favore della produzione di armi e beni di lusso. Gli
investimenti si indirizzano verso chi può spendere, verso la finanza ed il
terziario.
Tutto ciò dimezza la produzione industriale, determina la distruzione di
fabbriche e stabilimenti, crea disoccupazione di massa.
Recenti studi, confermati anche da un articolo di Giorgio Ruffolo (il mercato
impeccabile) dimostrano come il denaro accumulato illegalmente dalle grandi
famiglie monopoliste, e nascosto nei paradisi fiscali, ammonti ad una cifra che
è di circa 12 volte il Pil mondiale, quasi un milione di miliardi di dollari.
La classe operaia e le masse popolari sono investite in pieno da queste dinamiche.
L'attacco violento è condotto su due piani: dal lato economico, il venir meno
degli investimenti nel manifatturiero impone la necessità di evacuare senza
tante storie i lavoratori dal ciclo produttivo.
Politicamente, dopo aver scomposto, frammentato e diviso la classe operaia col
decentramento produttivo, si cerca di espellere le avanguardie più coscienti e
combattive, come avviene in Sevel, come è avvenuto a Melfi. Siamo al tramonto
della civiltà.
Le masse popolari sono impaurite, devastate da una violenza sociale che cresce
di intensità ad un livello mostruoso. La classe operaia è sola, divisa ed
isolata. La lotta di classe è come una guerra, ed in guerra il nemico prima ti
isola tagliandoti le vie di comunicazione e rifornimento, poi ti passa a fil di
sciabola. In conseguenza di ciò, anche i comunisti sono divisi e isolati, la
scomposizione del ciclo produttivo ha politicamente questa funzione. Oggi siamo
stati cacciati dalle istituzioni praticamente ovunque, persino dalle giunte
regionali, provinciali e comunali.
Questo isolamento deve essere rotto con ogni mezzo necessario, assolutamente.
In virtù di ciò è vitale che gli operai, i lavoratori , i comunisti, rientrino
in parlamento. Questa prospettiva non deve neppure essere oggetto di discussione.
Le tante chiacchiere che si sentono vertono tutte su una fastidiosa e sterile
discussione tra “Pd si e Pd no”. La falsa questione nasce da un ragionamento
errato, subalterno al pensiero forte, ad una concezione elettoralistica della
politica, sia da parte di coloro che sostengono aprioristicamente il
centrosinistra, sia dai duri e puri dell’opposizione. La cosa è dimostrata dal
fatto che i primi sono convinti di uscire dalla crisi semplicemente con un
governo socialdemocratico, (e sarebbe una pericolosa illusione) mentre i
secondi sostengono che una forza comunista in opposizione a Bersani possa
crescere costantemente e mobilitare le masse popolari. Ma la crescita di un
partito comunista non dipende dal suo posizionamento tattico, non almeno nella
misura in cui lo si ritiene nel dibattito attuale.
E’ la presenza attiva e dirigente dei lavoratori nelle organizzazioni
comuniste, nei sindacati , che crea le condizioni per incidere negli assetti
delle coalizioni, non il tasso di presunta radicalità di esse.
La forza di un’organizzazione comunista sta nella capacità di costruirsi e
rafforzarsi come partito della classe operaia con influenza di massa. Questo ci
pone di fronte alla necessità di pensare ad un progetto elettorale collocandolo
all’interno di un processo più ampio: è il cosiddetto “camminare su due gambe”
. La politica delle alleanze è necessaria oggi a maggior ragione del fatto che
la ferocia delle Corporations, dell’alta borghesia finanziaria si scaglia
contro tutto e tutti, e la contraddizione è stata aperta persino all’interno
della borghesia stessa, come visto prima. Vitale è rientrare in parlamento e
nelle istituzioni, ma contemporaneamente, il Partito deve crescere nelle
fabbriche, tra gli operai, militare nei sindacati esistenti con atteggiamento
costruttivo, parlare un linguaggio di classe all’interno di queste
organizzazioni. Deve favorire una presa di coscienza di massa sul nemico
mortale che abbiamo di fronte, il monopolismo, attraverso campagne ad esempio
per il rilancio del settore pubblico nella grande industria (nazionalizzazioni
e compartecipazioni) ,della tassazione dei grandi patrimoni, delle rendite
finanziarie, del controllo pubblico e della nazionalizzazione del settore
bancario nazionale. Occorre personalizzare la ricchezza nell’ambito dello
scontro di classe, dare un volto alla classe avversaria: la gente deve prendere
consapevolezza che dietro le società commerciali, dietro i colossi industriali
e finanziari esistono grandi famiglie miliardarie. La retorica delle banche e
del mercato anonimo crea rassegnazione e paura, la concretezza di sapere chi
hai di fronte aumenta la determinazione.
Alla luce delle attuali dinamiche, ed anche dei recenti avvenimenti, il tema
congressuale “Ricostruire il Partito Comunista” assume un’importanza fondamentale
e strategica, ma occorre tener presente una condizione insopprimibile: la
concezione gramsciana di partito della classe operaia, in cui la classe operaia
sia presente, sia cioè avanguardia cosciente e forza dirigente del partito
stesso. Da questa scaturirà inevitabilmente una ricomposizione organica ed
unitaria dei partiti comunisti. E’ la presenza attiva e dirigente della classe
operaia che crea unità tra comunisti, mentre la sua assenza disorienta, divide,
tronca i rapporti tra compagni, indirizzandoci proprio sul terreno preparatoci
dai grandi padroni, che incessantemente manovrano senza pudore per sprofondarci
in un nuovo Medioevo. I fatti lo hanno dimostrato in passato e drammaticamente
lo dimostrano oggi. E i nostri avversari lo sanno fin troppo bene.