La politica è la storia in divenire. Chi si cimenta
nell’iniziativa politica ha il compito di immaginare il futuro e proporre il
sogno del cambiamento. È questa visione che genera passioni, produce impegno e
attiva la partecipazione. Tale orizzonte, per noi, è l’ideale della
trasformazione democratica e del superamento dei rapporti sociali che producono
l’insopportabile ingiustizia dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
La politica, però, ha anche il compito di riportare sulla
terra ciò che sta nel cielo. In questo senso è realismo, analisi della
situazione concreta e valutazione dei rapporti di forza.
Significa tenere insieme idee radicali e politiche reali e,
simmetricamente, tenere fuori i settarismi identitari, gli estremismi parolai,
i giustizialismi inconcludenti e i massimalismi velleitari, che producono solo
sterile testimonianza e sconfitte politiche tremende.
Questa è sempre stata la migliore cultura politica dei
comunisti in Italia.
Noi ci poniamo oggi, cominciando dall’Italia e dall’Europa,
il problema di come “osare democrazia” difendendola dagli assalti dei populismi
e delle destre e di come uscire dalla crisi economica facendo vincere le
ragioni dei ceti più deboli, del lavoro, dei saperi e dei diritti.
È nella dimensione europea che occorre collocare il livello
di questi problemi e, quindi, le soluzioni. L’Europa di oggi è lontanissima da
quella immaginata a Ventotene da Altiero Spinelli. Non è più rinviabile
un’iniziativa politica progressista per un’altra Europa, più giusta, aperta
all’integrazione democratica e alle istanze dello sviluppo, dell’equità,
dell’ambiente e del lavoro. Un’Europa in cui prevalgano le ragioni del pubblico
su quelle del privato, della politica su quelle della tecnocrazia economica.
Al contempo non si può prescindere dalla costruzione di
un’identità nazionale che assuma l’interesse dell’Italia come perno su cui
tenere il tema dell’unità nazionale dentro l’Unione Europea. I populismi fanno
presa perché in Italia la cultura dello “sfascismo” è il vero humus su cui
proliferano le pulsioni autoritarie e reazionarie.
La crisi economica, sociale e politica ci impone di guardare
a tali problemi da una prospettiva generazionale; di trovare le forme e i
contenuti per parlare con forza e credibilità ai giovani proponendo un
nuovo patto sociale che – privo di scorciatoie giovanilistiche e rottamatrici,
ma con una forte attenzione verso il rinnovamento – metta insieme le
generazioni e si rivolga al paese reale, non ai poteri forti nazionali e
internazionali. Il paradigma tecnocratico – quello della contrapposizione
giovani/vecchi, garantiti/non garantiti – si sconfigge con un’idea forte del
lavoro e della coesione sociale, in cui la stagione della precarietà viene
chiusa e i saperi divengono il fondamento della civiltà e dello sviluppo; ma
anche favorendo l’impegno di nuova leva di ragazze e ragazzi, giovani donne e
giovani uomini, che finalmente riescano a prendere in mano il futuro di questo
Paese.
Lo schieramento progressista non è uscito vincitore dalle
elezioni e quel centrosinistra si è suicidato – tradendo la domanda di
cambiamento del suo popolo – per dare vita ad un governo con le destre che,
ancora una volta, rimette in gioco Berlusconi.
Noi non ci rassegniamo. Non è più il tempo di tatticismi e
politicismi, né di coltivare piccoli orticelli ormai inariditi. Per scongiurare
l’ipotesi che la “terza repubblica” diventi l’epoca della contrapposizione tra
un nuovo agglomerato centrista e una galassia populista ed antisistema, è
necessario e urgente costruire un grande e nuovo soggetto politico della
sinistra, che si ponga l’obiettivo strategico del governo per cambiare l’Italia
insieme alle forze progressiste in un nuovo centrosinistra. Una sinistra che
condivida un pensiero forte e non più subalterno alle idee fallite del
neoliberismo, in grado di sconfiggere le politiche dell’austerità e di
contrastare – riaffermando i valori della Costituzione – l’emergenza
democratica e che, soprattutto, stia dalla parte dei giovani e del lavoro.
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